La dislessia non è una malattia ma una neurodiversità. Nel nostro progetto speciale dedicato trovi tutte le informazioni sull’argomento.
Da quello che ha scoperto la scienza finora alle testimonianze di dislessici di tutte le età, dalle storie delle famiglie alle pillole di metodo dei buoni insegnanti, Donna Moderna indaga per fare chiarezza su falsi miti e pregiudizi. E capire che, se i bambini con dislessia non imparano nel modo in cui gli adulti insegnano, sta agli adulti insegnare nel modo in cui loro imparano.
Partecipa anche tu al grande progetto di Donna Moderna in collaborazione con Lancôme. Se sei dislessico gira un breve video in cui rispondi a queste domande: quando l’hai scoperto? Che cosa ti ha dato e che cosa ti ha tolto la dislessia? Invialo a [email protected]. Oppure mandaci un testo scritto.
La testimonianza di Francesca Magni
Da due ore mio marito e io siamo nello studio di una psicologa esperta di adolescenti. Nostro figlio 12enne non vuole andare a scuola. Il suo rendimento è scadente e lui ha attacchi di panico in classe. «Che bambino è stato?» ci chiede lei. Vivace, iper sensibile, a volte rabbioso, ma curioso di tutto, bravissimo a disegnare, a costruire con i Lego; un bambino con pensieri sofisticati e limiti inspiegabili in cose semplici: pronunciava male le parole, le storpiava o reinventava, non allacciava le scarpe, non leggeva l’orologio, non imparava i nomi dei mesi. Dopo averci ascoltati, la psicologa sorride: «Mi avete parlato di un bambino dislessico». I test lo confermano. Il ragazzino a cui per due anni abbiamo urlato «Sei un lazzarone, non combinerai niente nella vita» è dislessico. Ci vuole tempo perché lui lo accetti: «Ci pensi, mamma, io credevo di essere scemo» mi ripete ogni sera, lasciandomi a bruciare nel senso di colpa. Cos’ha visto la psicologa che noi per anni abbiamo ignorato? L’odio per la scuola in un bambino intelligente. «È sempre un segnale su cui interrogarsi» ci ha spiegato. E poi, i disturbi del linguaggio: il 50% dei bimbi che a 4, 5 anni non pronunciano bene le parole si rivelano dislessici (anche se non tutti i dislessici hanno avuto disturbi del linguaggio).
L’importanza della diagnosi
E quelle che per noi erano bizzarrie (non imparare i mesi, non leggere l’orologio): sono azioni che richiedono la capacità di rendere automatiche delle sequenze di parole o di gesti. Scopriamo così che la dislessia non è solo una difficoltà nella lettura, ma un mosaico di caratteristiche in cui sono coinvolti sia alcuni tipi di memoria (quella per gli automatismi, per esempio) sia la velocità a eseguire compiti. Prima si arriva a una diagnosi, minori saranno le ferite sull’autostima e più facile mettere a punto strategie per lo studio. Ora nostro figlio ha 15 anni ed è parte attiva della sua storia: è lui a spiegare ai professori in che modo riesce meglio nello studio e nelle verifiche. Non è facile, tanti non capiscono, e i coetanei non sono teneri con chi non è uguale, ma questo deve essere l’obiettivo: rendere i ragazzi con disturbi dell’apprendimento consapevoli delle loro caratteristiche, che non sono un handicap, ma un diverso modo di funzionare. I dislessici sono i mancini dell’apprendimento: un giorno la scuola smetterà di farli “imparare con la destra”.
Il libro da leggere: “Il bambino che disegnava parole” di Francesca Magni (Giunti)
Le storie delle lettrici
Ecco le testimonianze raccolte su Facebook da Nostrofiglio.it: 5 lettrici raccontano come hanno scoperto la dislessia dei figli e come l’hanno affrontata.
Lory: «Faccio di tutto perché i bimbi dislessici non si sentano diversi»
«Sono una maestra della scuola primaria e mamma di un ragazzo dislessico. Aver vissuto in casa l’esperienza della dislessia mi ha resa più sensibile al problema: quando mi accorgo che un alunno ha difficoltà a leggere o a fare i calcoli, uso tutte le attenzioni perché non venga preso in giro dai compagni e non si senta ”diverso”. Al tempo stesso, preferisco parlarne subito con i genitori e invitarli a far valutare la situazione da un esperto: di fronte alle loro titubanze o vergogne, racconto di mio figlio e di come, dopo la certificazione DSA, gli è stato concesso l’utilizzo del Pc con un programma di video-scrittura e correttore ortografico e l’esonero dalla lettura alla lavagna. E di come adesso, grazie a questi supporti, vada a scuola più tranquillo e fiducioso».
Claudia: «Per il momento preferiamo aspettare»
«Già dallo scorso anno, in prima elementare, le maestre si lamentavano perché mio figlio era svogliato e non completava i compiti. Anche a casa aveva molta difficoltà a leggere. Su Internet, ho riscontrato che alcuni dei “campanelli” della DSA coincidono con le sue difficoltà. Per il momento però preferisco aspettare perché ho letto che non tutti i bambini che mostrano problemi nella lettura sono dislessici e molti recuperano spontaneamente le difficoltà iniziali. Intanto cerco di seguirlo nei compiti. Se però a fine quadrimestre le difficoltà ci saranno ancora, chiederò un consulto degli specialisti».
Daniela: «Agli inizi non riuscivo ad accettare la sua diversità»
«Appena gli dicevo di fare i compiti piangeva, a scuola lo rimproveravano perché si distraeva, ai colloqui mi riferivano che non si applicava. Il pediatra ci ha spinti a fare gli accertamenti ed è arrivata la diagnosi. È stato il periodo più brutto sia per mio figlio sia per me: lui continuava a chiedermi quando sarebbe passata e io mi innervosivo a ogni errore. Poi una brava psicologa ci ha fatto capire che la dislessia non è una malattia ma una caratteristica individuale e che con gli strumenti adeguati anche un bambino con DSA può dare il meglio. Da allora ho imparato a gratificarlo per ogni successo, anche minimo. E lui è più sereno».
Antonella: «Rispetto i suoi tempi»
«Ci siamo accorti che qualcosa non andava perché, dopo mesi di scuola, faceva fatica a riconoscere le lettere oppure cambiava i suoni nelle filastrocche. Alla diagnosi siamo arrivati grazie alla valutazione di un’équipe di esperti: neuropsichiatria infantile, psicologo e logopedista. Sono stati loro a consigliarci alcuni accorgimenti da adottare a casa: lasciargli fare le cose con i suoi tempi, leggergli storie ad alta voce e stimolarlo a fare giochi dove ci sono parole da scomporre e ricomporre, come gli anagrammi. Impostare tutto come un gioco lo aiuta a provarci senza sentirsi sotto giudizio».
Sandra: «Mi dicevano che io ero apprensiva e lei viziata»
«Per tutte le elementari siamo andati avanti io a far presente alle maestre le mie perplessità sul modo di leggere di mia figlia e loro a liquidarmi dicendo che ero apprensiva, che la bambina era intelligente ma viziata. Solo alle medie una professoressa ha capito le sue reali difficoltà e ci ha spinto a dare il via all’iter per la diagnosi. Purtroppo nella scuola c’è ancora tanta ignoranza in materia, ma un genitore conosce il proprio bambino e per questo il mio consiglio è: se avete il minimo dubbio, non vergognatevi e rivolgetevi agli esperti».