Siamo una trentina, seduti in cerchio. Lo sguardo gira tra le sedie senza mai soffermarsi sui volti, finché qualcuno prende la parola e l’attenzione si concentra sulla sua voce. È così che iniziano gli incontri. Una volta alla settimana io e mio marito partecipiamo a un raduno per alcolisti. Lui è quello dipendente dall’alcol, io sono quella che dipende da lui. Sono una co-dipendente. Una parola che prima non avevo mai sentito. Non sono l’unica in quel cerchio. Ci sono altre mogli, mariti, figli, amici. Tutti, in un modo o nell’altro, abbiamo sviluppato una dipendenza dalle dinamiche che l’alcol ha portato nelle nostre vite.
Come aiutare un alcolista imparando ad amarsi
«La co-dipendenza è un insieme di comportamenti adottati da chi vive accanto a una persona con dipendenza da alcol. Possono rientrare in questa categoria partner, familiari, amici, colleghi. L’intento iniziale è aiutare una persona percepita come vulnerabile, impotente» mi spiega la dottoressa Daniela Labate, psicoterapeuta. «Ma è proprio questo bisogno di aiutare che finisce per aggravare la situazione: chi è vicino all’alcolista entra in una dimensione di onnipotenza salvifica e si auto-attribuisce la responsabilità della risoluzione, o meno, del problema». La convinzione di poter salvare mio marito mi ha spinta a contattare l’associazione. Ma non sono stata io la ragione per cui ha deciso di disintossicarsi.
Una mattina, dopo aver tremato tutta la notte nel letto chiedendomi aiuto, ha scelto di smettere. Quella notte io, invece, mi sono girata dall’altra parte. Ero profondamente arrabbiata
Mi sentivo invisibile. E lo ero davvero, ma a non vedere i miei bisogni in realtà ero io. L’ho capito dopo i primi incontri con la psicologa. Parlavo sempre di lui e del suo problema con l’alcol. Finché, un giorno, lei mi disse: «D’ora in poi parleremo solo di te».
Come aiutare un alcolista lasciando che si prenda le sue responsabilità
«In Al-Anon lo chiamiamo distacco con amore: significa continuare ad amare il nostro familiare, ma lasciando che si prenda le proprie responsabilità, senza sostituirci a lui. Così facendo, gli diamo l’opportunità di guardarsi dentro e scegliere cosa fare della propria vita» racconta la coordinatrice del Comitato Relazioni per l’Esterno di Al-Anon. Chiede di restare anonima per rispettare le linee guida dell’associazione di promozione sociale nata in America nel 1951 e presente in Italia dal 1976. «Chi frequenta Al-A non si è chiesto almeno una volta se ha fatto abbastanza, se ha sbagliato qualcosa. Ma il percorso ci insegna ad amare noi stessi. Se non stiamo bene, non possiamo essere d’aiuto a nessuno. Impariamo anche a perdonarci».
L’alcolismo è una malattia
Aggiunge la dottoressa Labate: «È necessario riconoscere e accettare che l’alcolismo è una malattia». Una malattia che si porta dietro l’intera famiglia. Come nel caso di Carlo e Anna: i loro due figli, una volta maggiorenni, hanno scelto di andarsene di casa. Carlo è spesso in ansia quando parla Anna. Tenta di suggerirle le parole, se lei si ferma troppo a lungo. «È comprensibile che i familiari vivano in una preoccupazione costante» spiega Valeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e clinical director del servizio di psicologia online Unobravo. «La paura per la salute del proprio caro, unita alla necessità di controllarne i comportamenti, può portare a uno stato di allerta cronica». È quello che vive anche Sonia, 18 anni appena compiuti. Viene agli incontri da sola, sua madre ha scelto di non intraprendere il percorso, ma lei non vuole perderla. «Ha solo me» dice. Non importa se, a volte, è dovuta andare a prenderla al lavoro perché non era in grado di tornare a casa.
L’inversione genitoriale: sentirsi responsabili dei propri genitori
«Per un figlio crescere in una casa dove un genitore è dipendente dall’alcol può avere gravi ripercussioni» spiega Labate. «Una delle evoluzioni più comuni è quella di sentirsi responsabili. È ciò che clinicamente si definisce “inversione genitoriale”: il bambino, per mantenere un legame di attaccamento, mette da parte i suoi bisogni emotivi per soddisfare quelli dell’adulto. Così sviluppa schemi di auto-sacrificio, un costante senso di inadeguatezza e un profondo senso di solitudine». Continua Perris: «Chi vive accanto a una persona con dipendenza non è solo testimone della sua sofferenza: spesso ne paga il prezzo in prima persona, tra stanchezza emotiva e tensione costante. I segnali sono tanti: somatizzazioni, ansia, perdita di interesse per tutto ciò che non riguarda la gestione della dipendenza dell’altro».
Come aiutare un alcolista: i gruppi Al-Anon di sostegno a tutta la famiglia
Fuori da quegli incontri, io provavo vergogna. Con gli amici, con i familiari, con chi non conosceva il nostro segreto. «In Al-Anon ci accomuna la condivisione, spesso basata sulle sofferenze personali. Le esperienze diventano spunti di riflessione, soprattutto per chi è appena arrivato. Non siamo lì per consolarci, ma per sostenerci nel tempo» spiega la coordinatrice. La prima richiesta d’aiuto spesso nasce dalla speranza che l’altro smetta di bere. Ma si può scegliere di intraprendere il percorso anche solo per sé. Per imparare a gestire la tristezza, il senso di colpa, la disperazione. «Condividere i propri vissuti aiuta a differenziarsi dalla figura dell’alcolista, a smettere di attribuirsi la responsabilità di ciò che accade. È un modo per gestire le emozioni più frequenti e ricordare che ognuno sceglie da sé la propria strada» osserva la psicoterapeuta Daniela Labate. «Restare in una relazione a tutti i costi, quando mancano le basi della reciprocità, mette di fronte a ferite emotive profonde: forse è proprio lì che bisogna indagare per ritrovare se stessi».
L’aiuto fornito dalle Asl
Il NOA, Nucleo Operativo per le Alcoldipendenze, è un servizio messo a disposizione dalle Asl in alcune regioni sia per gli alcolisti sia per i familiari. L’accesso è diretto, non serve la richiesta del medico.
I Gruppi Familiari Al-Anon sono rivolti a parenti e amici di alcolisti. La partecipazione è gratuita e garantita dall’anonimato. Info su al-anon.it e al numero verde gratuito 800087897.
Alateen è parte di Al-Anon ed è pensato per bambini e adolescenti. Anche qui è garantito l’anonimato. Ogni gruppo è accompagnato da due sponsor adulti formati per guidare i ragazzi.