Si chiama conscious quitting ed è la parola d’ordine che si sta diffondendo tra i lavoratori, soprattutto i più giovani, e che fa paura alle aziende. In che cosa consiste? È l’esatto contrario del quiet quitting, la pratica degli impiegati insoddisfatti dalla loro occupazione, ma impossibilitati a lasciarla, di svolgere solo le attività indispensabili. Il conscious quitting è l’abbandono consapevole. Invece di continuare a lavorare facendo il minimo indispensabile, i lavoratori che non sono d’accordo con i valori aziendali esprimono il proprio dissenso andandosene.
Conscious quitting: ecco in che cosa consiste
A dare il via a questa tendenza, che si sta diffondendo anche più del quiet thriving, è stata la pandemia da Covid-19. È quanto emerge dal Net Positive Employee Barometer, un rapporto commissionato da Paul Polman, ex amministratore delegato di Unilever. Lo studio, condotto su quattromila lavoratori negli Stati Uniti e nel Regno Unito, ha rilevato che una parte importante degli impiegati sta abbandonando le occupazioni dove i propri valori non sono in linea con quelli dei datori di lavoro. Oltre a prendersi cura delle proprie esigenze finanziarie e del benessere personale, i professionisti vogliono lavorare per aziende impegnate ad affrontare grandi sfide come il cambiamento climatico o le disuguaglianze economiche. Se i valori aziendali non si avvicinano ai propri, preferiscono licenziarsi.
Siamo nell’era delle dimissioni consapevoli
Il 51% dei dipendenti statunitensi e il 45 per cento dei britannici intervistati per la ricerca ha affermato che prenderebbe in considerazione l’idea di lasciare un lavoro dove i valori non corrispondono ai propri. In entrambi i Paesi, il 33 per cento dei lavoratori ha dichiarato di aver già lasciato il lavoro per questo motivo. Molti stanno persino accettando tagli salariali pur di entrare a far parte di aziende più consapevoli. «Tutti questi numeri sono ancora più alti per i Millennial e la Generazione Z», si legge nel rapporto, «stiamo entrando in un’era di dimissioni consapevoli».
I giovani preferiscono le aziende che “salvano” il pianeta
I dipendenti più giovani hanno paura del futuro e si pongono domande che hanno bisogno di risposte urgenti. Si chiedono che cosa stanno facendo con il tempo prezioso che hanno, come lo stanno impiegando. «Vogliono dare il loro tempo e le loro competenze alle aziende che hanno un impatto positivo sul nostro pianeta e sulla società, e che offrono speranza», afferma la ricerca. «Molti si rendono conto che i loro datori di lavoro stanno cercando di essere “meno cattivi”, ma pensano anche che questo non è ancora abbastanza».
Conscious quitting: sempre più lavoratori si licenziano
Tra i dipendenti intervistati, molti hanno anche espresso sfiducia nei confronti dei loro capi, poiché ritengono che siano motivati solo dal profitto personale. Questo tipo di atteggiamento preoccupa molto le aziende, che rischiano di veder fuggire le menti migliori. Ma che cosa possono fare i datori di lavoro per non fare “scappare” i propri dipendenti? Lo studio suggerisce che i leader aziendali si concentrino su tre aree principali: stabilire obiettivi di cui il mondo ha bisogno, essere più bravi a comunicare e responsabilizzare i propri lavoratori.
Cosa possono fare le aziende per correre ai ripari
Le aziende devono essere abbastanza ambiziose da fissare gli obiettivi che sono urgentemente richiesti, e non quelli che sono facili da raggiungere. In secondo luogo, la comunicazione con i dipendenti dovrebbe essere aperta, significativa e bidirezionale. «Questo è l’unico modo per ridare ai dipendenti la fiducia nel fatto che la loro azienda stia intraprendendo le azioni che dovrebbe», si legge nel rapporto. Infine, i leader aziendali dovrebbero consentire al personale di avere ruoli più importanti nelle iniziative dell’organizzazione.