A fine gennaio, assieme al biotestamento, nella nostra legislazione ordinaria è entrato a pieno titolo il consenso informato, da anni già parte integrante delle procedure sanitarie, spesso ridotto a un semplice atto burocratico. Ma che cosa dicono le disposizioni? Si tratta di una prassi obbligatoria, oppure il malato può rinunciare ad avere informazioni? Se un paziente è lucido e cosciente, però non è in grado di scrivere e firmare, quali alternative ci sono? E che cosa rischiano medici e ospedali inadempienti? Le risposte stanno nel testo della nuova normativa (e nelle spiegazioni che arrivano dagli esperti).
I principi recepiti e rilanciati dalla legge
Ecco il caposaldo, il perno attorno a cui ruota la normativa, “La legge, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se è privo del consenso libero e informato dell’interessato, tranne che nei casi espressamente previsti” (ad esempio i trattamenti sanitari obbligatori, applicabili a persone con problemi psichiatrici, seguendo una rigida procedura).
I diritti basilari dei malati
Ogni malato deve poter “conoscere le proprie condizioni di salute ed essere informato in modo completo, aggiornato e comprensibile su diagnosi, prognosi, benefìci e rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari, nonché sulle possibili alternative e sulle conseguenze dell’eventuale rifiuto o della rinuncia” a essere curato o operato. Il diritto all’informazione, però, per il paziente non è un obbligo o un dovere. Spiega Luca Benci, giurista e formatore: ”Un malato, se non lo desidera, non è costretto a ricevere informazioni sul suo stato di salute o sul piano terapeutico messo a punto dall’équipe sanitaria. Ha la possibilità di scegliere di non sapere nulla o di apprendere solo alcune cose. Può decidere che a dialogare con i medici in sua vece, e a esprimere o ritirare il consenso, sia un altro soggetto, un familiare o una persona di fiducia”.
Tutti gli strumenti per dare o negare il consenso
Le modalità per dare l’assenso alle cure – o l’opposizione – sono state ampliate e finalmente tengono in considerazione lo stato in cui si trovano uomini e donne in condizioni fisiche particolari, ad esempio per la sla, la cecità o altre patologie fisicamente invalidanti. “Questa – sottolinea Benci – è una conquista importante. Non vedremo più certe situazioni insostenibili. Il consenso informato va raccolto nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente: può essere documentato in forma scritta oppure attraverso videoregistrazioni o con quei dispositivi che consentono di comunicare alle persone con disabilità”. L’importante è che, in qualunque modo espresso, venga inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico. E così ogni altra decisione, anche di segno opposto.
I pazienti al bivio: la possibilità di dire no
Ogni persona capace di agire – altro passaggio fondamentale della nuova legge – “ha il diritto di rifiutare in tutto o in parte qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per una patologia o singoli atti di un trattamento”. Non solo. Il malato ha anche la facoltà di ritirare in qualsiasi momento il consenso dato inizialmente, anche quando lo stop comporti l’interruzione delle cure o la cancellazione di un intervento. “Ai fini della legge – e qui gli occhi e il cuore vanno alla storia di Eluana Englaro e della sua famiglia – sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale”.
No ai trattamenti salvavita e sostegno psicologico
Se il paziente rinuncia o rifiuta i trattamenti salvavita, ricorda il giurista Benci, “il medico deve prospettare al paziente e ai familiari, sempre che l’assistito sia d’accordo, le conseguenze di una sua scelta in direzione contraria. È tenuto inoltre a illustrare possibili alternative e promuovere azioni di sostegno, anche mettendo in campo i servizi di assistenza psicologica. Ed è esentato da responsabilità civile o penale: non è cioè perseguibile se ha rispettato le volontà del paziente e questo ha comportato conseguenze, anche irrimediabili”. La nuova legge, ricorda l’esperto, “dedica un apposito articolo alla questione del consenso dei minori e degli incapaci, ma non introduce grandi novità: la decisione per gli under 18 spetta agli esercenti la responsabilità genitoriale – la ex potestà, come si chiamava prima – tenendo conto della volontà e della maturità del minore. Per le persone adulte, incapaci, si specificano le prerogative degli amministratori di sostegno”.
Tutti gli ospedali e le strutture si devono adeguare
Non sono contemplate né ammesse eccezioni, rispetto al consenso informato. “Ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei principi della legge”. Ma che cosa può succedere se un chirurgo o un ortopedico intervengono senza aver chiesto e acquisito l’ok dell’assistito, se cosciente e in grado di scegliere? Spiega sempre Luca Benci: “Nella nostra legislazione, diversamente da quella tedesca, non c’è una sanzione penale specifica che punisca le violazioni delle norme sul consenso informato. In Germania, invece, esiste e viene contestato il reato di ‘trattamento sanitario arbitrario’. Da noi al massimo si possono ipotizzare la violenza privata e le lesioni, ove ci siano”.
Il danno da mancata informazione può essere risarcito
Un malato privato del diritto all’autodeterminazione può tentare anche la via della richiesta di risarcimento del danno, in sede civile, indipendentemente dall’esito di una cura o di un’operazione chirurgica. “Secondo la Cassazione – ricorda il giurista – la sola violazione del consenso informato in assenza di danno (o più correttamente, l’assenza dell’informazione) può costituire di per sé un danno risarcibile, in quanto priva il paziente delle seguenti opzioni di scelta: di curarsi, di non curarsi, di curarsi altrove con altri medici e strutture diverse, di prepararsi più adeguatamente alle cure e alla nuova situazione clinica in cui può venire a trovarsi”. Non bisogna però creare illusioni. “Non tutti i casi sono uguali. Per promuovere l’azione civile, ed essere risarciti, occorre rientrate nel perimetro tracciato dalla suprema corte, che ha messo una serie di rigidi paletti”.