Quanto sono sicuri i prodotti che arrivano sulla nostra tavola? Ha fatto tanto discutere il caso delle verdure surgelate ritirate in Paesi Ue per «rischio microbiologico» a causa della presenza della listeria, un batterio nocivo per la salute. In Italia il ritiro ha riguardato prodotti (minestroni e mix vegetariani) confezionati altrove e finiti nel circuito della grande distribuzione e dei discount. Si tratta solo dell’ultimo allarme in campo alimentare, dai pandori a rischio contaminazione da salmonellosi, alla lunga serie di sequestri che ha riguardato formaggi e olio d’oliva. Ed è difficile non venire “mangiati” dall’ansia se andiamo a vedere con quale frequenza il ministero della Salute dispone periodicamente il ritiro di lotti.

Nel mese di luglio del 2018 per esempio, il 10 è toccato ai preparati per «crostata e cookies» e alle «pizzette di pasta sfoglia surgelate» di noti marchi; il 12 al mais in busta; il giorno dopo ad alcuni lotti di prosciutto; il 16 alle «fette di tonno pinne gialle» a causa, questa volta, di «livelli elevati di istamina» (l’intossicazione da questa particolare molecola può portare a irritazione alla gola e alla pelle, sudore, nausea, vomito o cefaee). Il 17, infine, a essere richiamati sono state alcune centinaia di confezioni di «passatino di lenticchie biologiche» e «salsa di fegato take away». Sono operazioni che ci tutelano del tutto quando ci mettiamo a tavola o rappresentano la spia di rischi alimentari più ampi?

Il monitoraggio va dalla produzione alla vendita

«Il rischio zero non esiste per definizione» risponde Lorenzo Bairati, direttore del corso di laurea all’u- niversità di Scienze gastronomiche di Pollenzo. «Ma dopo le crisi alimentari degli ultimi decenni, da Chernobyl alla mucca pazza, il sistema di controlli europeo si è dimostrato affidabile, specie in Italia dove per l’agroalimentare produttori e consumatori hanno una particolare sensibilità». Il margine di incertezza, come dimostrano gli ultimi casi, sarebbe più che altro figlio di quella che viene chiamata “filiera diffusa”. Il tonno ritirato questo mese, per esempio, arriva dall’Indonesia, il mais dal Belgio, mentre prosciutto cotto, lenticchie e salsa di fegato sono italiani ma con un processo produttivo che ha coinvolto più stabilimenti e materie prime in arrivo da Paesi diversi.

Nel caso della listeria è stato disposto il ritiro a scopo precauzionale di tutti i vegetali congelati nello stabilimento ungherese Greenyard Frozen Hungary Kft, controllato da un’azienda belga che ha lavorazioni anche in altri Paesi Ue. Come spiega però Gaetana Ferri, direttore generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti al ministero della Salute, «in Italia non c’è motivo di preoccupazione». Questo proprio perché, assicurano gli addetti ai lavori, i controlli sono più che serrati. Della stessa opinione è Bairati: «I ritiri non ci devono allarmare, semmai rassicurare perché dimostrano che il sistema funziona» ribadisce. «In conformità alle disposizioni vigenti» aggiunge Ferri «le autorità competenti (per il nostro Paese servizi sanitari e servizi igiene, alimenti e nutrizioni delle Asl, ndr) effettuano controlli pianificati su tutti gli operatori e lungo l’intera filiera agroalimentare». Dalla produzione (allevamento e coltivazioni) alla trasformazione, per poi passare a magazzinaggio, trasporto e vendita, tutto è tracciato.

L’allerta riguarda specialmente i cibi provenienti da Egitto, Cina e India

«Nel caso in cui a seguito di un controllo sia riscontrato un rischio diretto o indiretto per la salute» continua Ferri «viene immessa nel sistema un’apposita notifica di allerta (Rasff, Rapid Alert System for Food and Feed, ndr), al fine di consentire il ritiro dal mercato. L’opzione vale anche per tutto ciò che entra in contatto con l’alimento, prima e durante la sua preparazione. Così – si tratta di casi reali – una partita di pesce sanissima può venire bloccata perché ci sono sospetti sull’acqua utilizzata per il ghiaccio di conservazione, o una batteria di polli soppressa perché il loro mangime è sotto esame. Le norme valgono per tutti i Paesi Ue ma i numeri dimostrano che i consumatori italiani sono di gran lunga i più tutelati.

Qualcos’altro, però, si potrebbe fare in relazione all’importazione di prodotti extraeuropei. Cina, Egitto, India e Sudest asiatico compaiono più volte nella “classifica” dell’allerta: dal ministero della Salute assicurano che la lunghezza della filiera produttiva è un parametro ponderato nella valutazione del rischio sicurezza alimentare. Ma secondo Bairati «regole e controlli dovrebbero essere più stringenti nei confronti di chi importa da Paesi che adottano standard produttivi più bassi. E questo non riguarda solo il cibo, ma anche la qualità e la sostenibilità ambientale e sociale dei prodotti».

I numeri

2925 le notifiche di allerta in Europa nel 2016 Il Paese più attento è proprio l’Italia (415), seguita da Germania (368) e Regno Unito (352). 90 i cibi spagnoli colpiti da allerta nel 2016. Seguono la Cina (46) e i prodotti locali (40). 175 le notifiche sul pesce: l’Italia è il Paese con più allerta in questo campo sul totale Ue di 525. Cause principali: mercurio, cadmio, contaminazioni microbiologiche. 161 le notifiche sul pollo: quelle avicole sono le carni più a rischio, quasi sempre per la salmonellosi (Fonte: Ministero della Salute).

4 consigli per una spesa sicura

Il sistema di monitoraggio italiano su cibi e bevande funziona. Ma per ridurre al minimo i rischi ci sono alcuni semplici accorgimenti.

→ Preferire i cibi freschi rispetto a quelli trasformati. Se scegliamo questi ultimi, è meglio utilizzare quelli composti da pochi ingredienti.

→ Meglio scegliere i prodotti interi piuttosto che quelli tagliati o macinati. Vale anche per i condimenti: meglio il pepe in grani di quello tagliuzzato.

→ Seguire la stagionalità dei prodotti resta il miglior metodo per accorciare la filiera e i tempi con cui il cibo arriva sulla nostra tavola.

→ A parità di ingredienti, meglio evitare i primi prezzi e i loro costi occulti.