«Quando è finita con il mio compagno, ho iniziato a vivere da sola con nostra figlia di cinque anni in una città dove non conoscevo nessuno. Lo stipendio non bastava più e la sera avevo paura. Tanto che a volte, in camera, mi chiudevo a chiave. Anche per questo, un bel giorno, abbiamo fatto i bagagli e siamo andate ad abitare con Marta e i suoi due figli, in un grande appartamento alle porte di Roma. Insieme a loro mi sento serena e con ciò che risparmio posso finalmente portare in vacanza mia figlia». Se fino a ieri coabitare con estranei o conoscenti era un’opzione solo per studenti, oggi sembra una soluzione adatta a tante stagioni della vita, come ci dimostra la storia di Anna e Marta.
In un’era dove si è molto più connessi ma anche molto più soli, l’affermarsi del co-living è il segnale di un nuovo bisogno di intimità, dove il piacere di vivere con persone affini a noi viene prima della privacy. Infatti, a differenza del più noto co-housing, dove alcuni spazi sono comuni ma le case rimangono private, nel co-living si vive tutti nello stesso appartamento.
Se fino a ieri coabitare con estranei era un’opzione solo per studenti, adesso È una possibilità in più per ogni stagione della esistenza
Il co-living inizia a diffondersi anche da noi
Una pratica consolidata in Stati Uniti e Nord Europa, e che inizia a diffondersi anche da noi. I pionieri sono come sempre i Millennials ma adesso anche anziani e mamme single usano passaparola o annunci sui siti per trovare qualcuno con cui dividere bollette e farsi compagnia. «È un fenomeno che per ora riguarda soprattutto le grandi città, dove gli affitti sono alle stelle e i contratti di lavoro spesso precari» ci spiega Stefania Sabatinelli, sociologa al Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano. Condivisione, aiuto, sostegno emotivo. Sono i principi che spingono alcune delle 900.000 madri single in Italia a mettersi in gioco in una co-abitazione. Spartiscono spazi di casa, spese e gestione dei figli; ma anche ferite comuni di una separazione o di un lutto.
«Prima di andare a convivere con Marta ero a pezzi» prosegue Anna. «Affitto e condominio portavano via quasi tutto lo stipendio e con nonni e amici lontani ero senza reti di salvataggio. Ma non volevo tornare in Sicilia. E così tramite il sito Le Nuove Mamme (che su Roma mette in contatto mamme che vogliono vivere insieme) ho conosciuto Marta. Ci siamo frequentate gradualmente e quando è scattata l’empatia ci siamo dette: perché no, proviamoci. Nel nostro ménage io cucino e faccio i letti, mentre lei si occupa di pulizie e lavatrici. E in cambio di una paghetta, suo figlio fa da babysitter alle due bimbe che nel frattempo sono diventate amiche. Per me è un sollievo sapere che dove non arriva l’una c’è sempre l’altra, e che se io dimentico di stendere il costume da piscina di Giulia, ci pensa Marta. Certo, vivere in cinque non è sempre facile, ma quando sogno un bagno o uno spazio tutto mio (ora dormo con mia figlia), penso che con una famiglia vera non sarebbe tanto diverso. Cose belle incluse, come cenare insieme e accorgersi che parliamo un linguaggio che è solo nostro. Sembra banale, ma ci fa sentire un nucleo compatto».
Il mondo sta andando in questa direzione
Sono molti i segnali a dimostrazione che il mondo sta andando in questa direzione. Non c’è solo Ikea che lancia un sondaggio per capire come progettare le case condivise del futuro. Ma c’è anche un notevole aumento delle società immobiliari che puntano sul co-living, specialmente quelle rivolte a freelance tra i 35 e i 45 anni che hanno voglia di vivere in modo diverso e collaborativo.
«Le soluzioni vanno da appartamenti dove si coabita e basta, a proposte per chi negli spazi comuni vuole anche svolgere una professione e fare esperienze in compagnia» ci spiega Ivan Miccolis fondatore di helpHousing. «Come Carlos, un manager che per scelta di vita è passato dal suo attico con piscina privata a un nostro co-living di otto stanze dove si organizzano corsi di yoga o serate di incontri culturali o cinema. Come tanti anche lui non cercava un risparmio, voleva sentirsi parte di qualcosa». Secondo Miccolis, i co-living di domani saranno sempre più specializzati per lavoro e interessi, da quelli per designer a quelli per startupper. Senza contare che il fenomeno darà vita a nuove figure, come è avvenuto per il “community curator” (già attivo in alcune realtà di co-living del Nord Europa), una specie di guru nel facilitare l’interazione tra coinquilini e organizzare eventi collettivi e divertenti.
Il co-living è anche una scelta green
Oltre a benefici sociali ed economici, il co-living è anche una scelta green. Di certo, otto persone sotto lo stesso tetto fanno un uso super efficiente di spazi ed energia. Motivo in più, sostiene Stefania Sabatinelli, per cui il co-living è un fenomeno destinato a crescere e ad avere una inevitabile ricaduta anche nel modo di progettare gli interni di case vecchie e nuove. «Ogni dettaglio sarà pensato per condividere idee, progetti ed emozioni di chi le abita. Avremo zone di privacy ridotte al minimo a fronte di spazi conviviali ampi, iper tecnologici e iper attrezzati per agevolare la socialità. Ad esempio, i fornelli saranno dislocati in più punti della cucina, così da poter essere usati da più persone contemporaneamente. E nelle micro-stanze i letti saranno a scomparsa per avere anche uno spazio privato dove stare con amici». Ci sarà bisogno di superfici vaste, il che darà una spinta al recupero di molte abitazioni inutilizzate (perché troppo grandi per accogliere le piccole famiglie di oggi), e alla rinascita di quartieri periferici che si prestano a diventare poli per questo nuovo tipo di soluzione.
Millennials, sono loro i più tecnologici
Le grandi aziende tecnologiche usano le comunità dei Millennials che vivono insieme per testare i loro prodotti hi-tech. Il co-living di Londra dell’agenzia StartupHome ha sperimentato per quattro mesi lo smart speaker “Echo” di Amazon prima che arrivasse sul mercato. Mentre quello di Greenwich è stata la prima casa in Europa ad avere un bancomat Bitcoin fornito da Satoshi Point.