Una volta ci si mollava via chat. Oggi lo si può fare inviando una mail all’ufficio anagrafe del Comune di residenza con cui si comunica la decisione (anche unilaterale) di dire addio al proprio convivente. È il bello-e-brutto della nuova legge sulle unioni civili, la famosa Cirinnà approvata a fine maggio, che insieme all’istituzione delle nozze tra persone dello stesso sesso ha regolamentato le coppie di fatto. Se le novità per le convivenze sono già operative, per il matrimonio tra omosessuali bisognerà attendere inizio luglio (ma il via libera potrebbe slittare a settembre in attesa della pronuncia della Corte dei conti).
Gli scenari aperti dalla legge 76/2016 sono tanti: da una parte la norma ha segnato un passo storico, riconoscendo agli omosessuali la possibilità di sposarsi, con diritti e doveri equiparabili a quelli del matrimonio (salvo alcuni paletti come l’adozione e alcune scorciatoie come i tempi più brevi per il divorzio). Dall’altra, ha disciplinato le convivenze, che finora non beneficiavano di una legge ad hoc, prevedendo obblighi e tutele per le coppie non sposate pur non accordando loro lo status di famiglia.
Tutte le novità della legge per i conviventi.
Che si sia gay o etero, la scelta di come vivere insieme ai tempi della Cirinnà non è semplicissima. Finora, bastava decidere da che parte stare (ci sposiamo o conviviamo?) e optare per 1 dei 2 mondi: l’impegno ufficiale del matrimonio contro la libertà di non avere regole fisse in amore, lo status di moglie contro quello di eterna fidanzata, la porta chiusa contro quella mezza aperta.
«Oggi invece le coppie di fatto si assumono impegni precisi» dice Arrigo Roveda, presidente del Consiglio notarile milanese che in occasione della Milano Pride Week ha organizzato un incontro proprio per fare chiarezza sulla Cirinnà. «I conviventi che vogliono godere delle tutele della nuova legge devono iscriversi al registro anagrafe del proprio Comune e hanno l’obbligo di coabitazione così come quello di essere liberi di stato, quindi divorziati e non solo separati».
Devono poi «dichiarare di essere legati da un vincolo affettivo, di voler provvedere all’assistenza morale e materiale reciproca» continua il notaio.«Possono prendere decisioni in tema di malattia per il partner, hanno diritto di visita in carcere, di partecipazione agli utili nell’impresa familiare del compagno, di ottenere dal giudice gli alimenti in caso di separazione. La legge non concede alle coppie di fatto diritti ereditari, ma dà la possibilità di regolare con un contratto i rapporti patrimoniali e di contribuzione economica».
L’importanza di sottoscrivere un contratto.
Il contratto può sembrare un’idea un po’ all’americana ma non è una novità. «Sono tante le coppie di conviventi che l’hanno sottoscritto ancora prima della Cirinnà» precisa Arrigo Roveda. «Io lo consiglio perché dà un valore aggiunto alla relazione, limita i litigi stabilendo per esempio la suddivisione delle spese per il ménage familiare e dà già un’idea di cosa succederà se il rapporto dovesse finire». Gli accordi vanno sottoscritti e autenticati da un avvocato o da un notaio (al quale bisogna rivolgersi necessariamente se ci sono proprietà immobiliari anche non condivise).
Ci sarà un ricorso in massa ai patti di convivenza? E chi non potrà permettersi la parcella di un professionista rimarrà escluso e sarà meno tutelato? Per Roveda «in genere sono le coppie adulte già passate da un matrimonio a regolarsi con il contratto. I giovani vivono la convivenza in modo più libero e non pensano a ogni dettaglio della vita in comune». Che spesso è solo un passaggio in attesa del matrimonio, come ha persino suggerito Papa Francesco in un recente convegno.
«Chi si sposa deve essere consapevole di un impegno che è per tutta la vita: meglio un buon matrimonio dopo una convivenza che uno improvvisato» ha detto il Pontefice, forse suggestionato dai nuovi dati Istat che ritraggono un’Italia in crisi con le nozze: dal 2008 a oggi, dice l’Istituto di statistica, le coppie di fatto sono più che raddoppiate e si aggirano intorno al milione. I “sì” all’altare sono calati, invece, del 25% sotto i 35 anni.
I cambiamenti nelle famiglie: storia di una convivenza.
Simona è un’impiegata 43enne di Roma, la sua storia è lo specchio delle metamorfosi familiari che stanno già avvenendo nel nostro Paese. «Sono stata sposata per 15 anni» racconta. «Sono divorziata e convivo da 2 col mio nuovo compagno. Ho 2 figli nati da queste unioni. Conosco bene la sensazione di sentirsi “moglie” in Italia, così come quella di essere “solo” compagna: a volte uso la parola marito semplicemente per farmi capire meglio, per non creare equivoci o dover dare spiegazioni del mio complicato schema familiare».
«La nuova legge» continua Simona «ha messo dei punti fermi esplicitando l’importanza di considerare il partner come un coniuge a tutti gli effetti. Ora so che potrò stargli vicino se starà male in ospedale e che potrò designarlo come mio rappresentante se un giorno non sarò in grado di prendere decisioni sulla mia salute. Ma non amo l’idea di sottoscrivere un contratto: sarebbe come mettere un germe di sfiducia tra noi. Voglio pensare che in caso di bisogno sarà lui a provvedere per me e per la famiglia, esattamente come io farei per lui se perdesse il lavoro o si trovasse in difficoltà. Forse è una visione un po’ romantica della relazione, ma sono passata da un divorzio e so quanto sia spiacevole dover discutere di ogni dettaglio della propria vita, anzi della propria ex vita, davanti a un tribunale».
Le tutele per i figli delle coppie di fatto.
Nei confronti delle coppie di fatto con figli la legge Cirinnà non ha avuto bisogno di fare cambiamenti o restrizioni, grazie a una norma che solo 2 anni fa ha equiparato i bambini naturali a quelli legittimi. «In caso di separazione, oggi ai figli dei conviventi si applicano le stesse tutele dei minori con genitori sposati» dice Marzia Simionato, avvocato di famiglia. «Ci si accorda sul mantenimento, sull’affido, su tutte le decisioni che riguardano la vita quotidiana. C’è la possibilita di poter subentrare nel contratto di affitto intestato all’ex partner e di avere gli alimenti se non si ha un reddito, proporzionale al numero di anni di vita comune. Dovrà essere il giudice a stabilirlo e sarà accordato solo in caso di effettiva necessità, se si versa in stato di bisogno».
Secondo l’avvocato, la gran parte dei diritti introdotti dalla Cirinnà erano già stati acquisiti nel tempo dai conviventi: rimangono invece escluse situazioni che già non rientravano nel ventaglio di possibilità, come l’adozione. Oggi è consentita solo ai coniugi eterosessuali sposati e non alle unioni civili né alle coppie di fatto, salvo casi particolari.
«Eppure ci sono già state parecchie pronunce dei giudici a favore della stepchild adoption, l’adozione del figlio del partner omosessuale» dice Marzia Simionato. «Io sono stata tra le prime, nel 2010, ad assistere in tribunale una coppia di donne che volevano decidere l’affidamento del figlio comune avuto con una inseminazione». Ma questa, ha promesso la senatrice Monica Cirinnà dopo l’ok alla sua legge, sarà la prossima battaglia.