Fino a qualche settimana fa, era un acronimo figo quanto enigmatico: LDR. Oggi siamo noi: una coppia a distanza, in a Long Distance Relationship. Lui esiliato in mezzo al deserto saudita per 15 giorni al mese. Io a guardia del focolare.
“Benvenuta nel presente”, mi sono detta mentre lui mi annunciava il suo nuovo lavoro e io ostentavo un sorriso imbalsamato. In Italia ci sono almeno 900mila famiglie così e il fatto di essere una “tendenza”, lo ammetto, ha un che di consolatorio.
Gli americani, pionieri del telematrimonio, hanno sfornato studi e decaloghi sui benefit delle relazioni a distanza. Tutti densi di ottimi consigli. Ma perché nessuno fotografa la mia situazione attuale? Ci provo io, sintetizzando le tre cose che ho scoperto finora.
1) Non è vero che il carico dei figli pesava tutto su di me.
Altrimenti adesso non mi sentirei così stanca. Sì, certo: sono l’unica a sapere quale anta dell’armadio appartiene a quale figlia, quale gusto di yogurt comprare in quale corsia del supermercato, quale pentola usare per quale verdura. Ma questo è solo il carico oggettivo.
Poi c’è il carico affettivo: una bulimia di attenzioni che non si sazia con vestitini e polpette, ma con lunghe storie lette alla sera sotto le lenzuola, con interminabili ore spese a costruire nei minimi dettagli un iPad di cartone. E quel carico, tra me e mio marito, era totalmente paritario. Me ne accorgo ora che mi si chiudono gli occhi al dodicesimo capitolo del romanzo di Candy Candy.
2) Non è vero che i bambini fanno fatica a cambiare abitudini.
Il tempo di memorizzare i comandi di Skype e le mie figlie avevano già inventato il nuovo rito della sera: la cena in video-chat col papà, con l’iPad appoggiato alla bottiglia d’acqua e baci unti di pomodoro sullo schermo.
Per me, invece, il marito pixellato non vale: a qualsiasi tenerezza via etere oppongo un muro di gelido imbarazzo.
Fior fior di ricerche (l’ultima della Cornell University dello Stato di New York) dimostrano come le coppie a distanza abbiano conversazioni più lunghe e profonde di quelle a stretto contatto. La celebre psicoterapista americana Rachel A. Sussman sostiene che «in una video-chat si è davvero concentrati l’uno sull’altro». Molto più che al telefono o seduti sul divano con le gambe intrecciate.
Sarà. Imparerò. Di sicuro in casa ho due maestre eccezionali, proprietarie di un iPad di cartone ma digitali nel profondo.
3) Non è vero che la condizione di moglie LDR ti porti a recuperare tempo per te stessa e a coltivare le tue passioni.
Io, quando avevo un matrimonio a chilometro zero, andavo a correre tre volte alla settimana e uscivo con le mie amiche tre volte al mese. Perché potevo contare su un compagno di squadra e non giocavo da solista.
In compenso, la monogenitorialità part-time ha i suoi vantaggi: le bambine non trovano spazio per i loro capricci (che poi è lo spazio tra le diverse opinioni educative dei genitori), io non devo sprecare energia e dialettica per discutere su niente, decido e basta. E alla sera, quando tutti dormono, posso finalmente mangiare il gelato dalla vaschetta senza nessuno che mi guardi di traverso.
Quando ci penso, mi dico che ci vuole coraggio per barattare tutto ciò con la vita di coppia. E quel coraggio possiamo anche chiamarlo amore.
A questo punto, in qualità di apprendista LDR, mi piacerebbe conoscere le vostre strategie di sopravvivenza. I benefit che i chilometri hanno portato alla vostra coppia e le sfide che avete affrontato. E chissà, magari riusciremo finalmente a sfornare un decalogo tutto italiano per coppie a distanza.