Che l’abbia copiata o improvvisata, che sia stato troppo melenso o incredibilmente romantico, che sappia cosa sia l’amore o come farsi perdonare: non è questo il punto. La dedica che Roberto Benigni ha fatto a sua moglie Nicoletta Braschi dal palco del Festival di Venezia racchiude il principio attivo che curerebbe tante unioni dal lento logorio a cui sembrano inevitabilmente destinate: la gratitudine. «Se nel lavoro qualche volta ho preso il volo è grazie a te, al tuo talento, al tuo mistero, al tuo fascino, alla tua bellezza, alla tua femminilità, al fatto di essere donna. Se qualcosa di bello e buono ho fatto nella mia vita è stato sempre attraversato dalla tua luce».

Quattro anni fa, su un palco parimenti blasonato, una star hollywoodiana si esibiva in un “grazie” altrettanto plateale. Ryan Gosling, neovincitore del Golden Globe per La la land, diceva alla sua Eva Mendes: «Mentre io cantavo, ballavo e suonavo il piano – vivendo una delle esperienze più belle che abbia mai provato in un film – la mia signora stava tirando su nostra figlia, era incinta del secondo e stava provando ad aiutare il fratello a combattere la sua battaglia contro il cancro. Se non avesse fatto tutto ciò, in modo da permettermi di poter fare questa esperienza, oggi di sicuro ci sarebbe qualcun altro qui. Quindi grazie, tesoro!».

Davvero è così importante dirsi grazie? Una delle prime studiose a evidenziarlo fu Arlie Horschild, che negli anni ’80, dopo aver frequentato innumerevoli famiglie e aver affondato le mani in molte crisi, rilevò che «quando le coppie si scontrano, raramente è semplicemente su chi fa cosa. Molto più spesso si tratta di dare e ricevere gratitudine».

Un sentimento strano, la gratitudine. Che forse esplicitiamo meno di quanto realmente proviamo. Perché pensiamo che sia troppo poco dire “grazie”, e allora ci affanniamo a ricambiare, rimanendo intrappolati nell’impossibilità di farlo o nel mancato riconoscimento del nostro modo di ricambiare. Fatichiamo a credere che basterebbe un semplice grazie.

Una volta ho interrogato una donna molto intelligente su come facesse ad accettare l’evidente disparità presente all’interno della sua famiglia. Lei ci ha pensato su, poi mi ha risposto: «Lui mi ringrazia. Non passa giorno in cui non mi faccia capire quanto è importante ciò che faccio». Non fraintendetemi. Dirsi grazie non è il viatico per ogni disparità all’interno della coppia. Ma è la formula che rende visibile l’invisibile, che dà sostanza a ciò che sembra fluttuare inconsistente. Scegliere di vivere in coppia ci obbliga a una riformulazione dei nostri desideri, condizionata dall’altro. Ci sono cose che riusciremo a fare proprio perché in coppia e altre a cui dovremo rinunciare. Dirsi grazie per le prime è il modo migliore per accettare le seconde e per continuare a espandersi.

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