Dopo tre anni di dibattito, il Parlamento europeo ha approvato la direttiva sul copyright, non senza polemiche (in Italia restano contrari Lega e Movimento 5 Stelle). L’obiettivo era quello di porre fine al far west che da anni regna nel mondo web e dei social network, dove articoli di giornale, video, canzoni e altri contenuti coperti dal diritto d’autore molto spesso vengono postati aggirando le leggi già esistenti. Secondo la Commissione europea il 56% dei contenuti di informazione è pubblicato gratuitamente. D’ora in poi, secondo le indicazioni della normativa, i colossi della Rete, come Google e Facebook, dovranno pagare un “equo compenso” agli editori per condividere le notizie. Ma cosa cambia per gli utenti? Si potranno ancora postare articoli o canzoni?
La direttiva: perché e da quando
L’ultima direttiva sul copyright risaliva al 2000, quando la diffusione di internet era nettamente inferiore a oggi. Per arginare il fenomeno del copia-incolla di articoli o della pubblicazione di screenshot o altri contenuti coperti da copyright, il Parlamento europeo ha varato una direttiva, sollecitata dagli editori e autori, che prevede che i big della Rete paghino delle royalties, dunque compensi, per far circolare sulle proprie piattaforme contenuti protetti dal coyright. Questo perché finora la condivisione avveniva gratuitamente, ma generava un enorme traffico, che permetteva ai social network come Facebook di incassare grandi profitti in termini di pubblicità.
La direttiva non sarà però immediatamente applicabile: “Occorreranno almeno un paio d’anni perché diventi esecutiva e lascerà a ogni Stato piena libertà quanto alla scelta della forma e dei mezzi da utilizzare. Rappresenta quindi soprattutto un segnale culturale” spiega l’avvocato Marisa Marraffino, esperta di internet.
Cosa cambia
Notizie dai giornale: l’articolo 11 prevede accordi tra editori e piattaforme web, dunque non i singoli utenti, per un “equo pagamento” di licenze per la pubblicazione di testi protetti dal copyright. L’articolo 13 (diventato 17 nel testo finale) impone invece ai provider di verificare i contenuti prima del loro caricamento, per accertarsi che non violino i diritti d’autore.
Meme, gif, vignette satiriche, ecc.: la normativa “salva” i singoli utenti nell’uso di opere al solo scopo di citazione (e non di lucro, come nel caso dei colossi social), critica, caricatura, analisi, parodia. Non è prevista, dunque, alcuna “link tax” e si potranno scambiare contenuti didattici, scientifici, ecc., senza incappare in alcuna infrazione.
Le star up: il testo approvato dal Parlamento Ue esenta dai vincoli imposti ai big del web le società con meno di 10 milioni di euro di fatturato l’anno e 5 milioni di utenti mensili, ma anche le enciclopedie online come Wikipedia, le piattaforme open-source, i siti di musei, biblioteche, materiali didattici.
La protesta di Facebook, Wikipedia & C.: censura o responsabilizzazione?
“Alla luce del testo approvato viene meno il motivo di proteste come quella di Wikipedia, che nei giorni scorsi aveva oscurato le proprie pagine, perché di fatto è esclusa dai vincoli previsti per i colossi del web e i social” commenta l’avvocato Marraffino.
Resta, però, la dura reazione proprio da parte delle grandi piattaforme, che parlano di “censura” e di “morte dell’Internet”, tanto che nei mesi scorsi era stata organizzata una petizione online con 5 milioni di di adesioni. Si critica, ad esempio l’azione di controllo che proprio Facebook, Google o Yahoo dovrebbero esercitare sui contenuti pubblicati, parlando di “upload filter”: un filtro preventivo che limiterebbe la circolazione di notizie e avrebbe alti costi, rallentando la diffusione stessa di materiale in attesa di verifica. “In realtà la direttiva non impone “filtri”, ma esorta a una maggiore vigilanza” spiega l’avvocato Marraffino.
Ma cambia davvero qualcosa?
“Intanto ci vorrà del tempo perché la direttiva sia recepita e poi si dovrà capire come lo sarà dai singoli Stati. È anche possibile che fino ad allora i colossi del web siano diventati loro stessi degli editori, in grado di generare e pubblicare da soli le notizie. Oppure avranno negoziato un equo compenso con gli editori, che hanno tutto l’interesse a far circolare i propri contenuti in rete” spiega il legale. “Realisticamente io penso che non cambierà quasi nulla per gli utenti. Certo, non si potrà fare copia-incolla di un articolo, ma questo è vietato anche ora. I social potranno accettare, invece, i cosiddetti snippet, i riassunti o titoli degli articoli stessi e il lettore medio ne leggerà la sintesi. Ma già oggi si sa che è difficile che sul web si leggano interamente i testi” dice l’esperta.
“Di fatto il vero cambiamento sarà nei tempi: in pratica, così come accade già adesso se ad esempio si pubblicano puntate di trasmissioni tv o telefilm o canzoni coperte dal copyright, in futuro si dovrebbe procedere alla loro rimozione in tempi molto più rapidi. Ai provider si chiede il massimo sforzo possibile, non di inserire filtri preventivi, e quindi di intervenire tempestivamente in caso di diffida. Insomma, è soprattutto un segnale culturale che si vuole dare ai colossi del web, anche se si rischia un mondo a due velocità: come per la legge sulla privacy, in Europa si applicano norme che non vigono nel resto del mondo” spiega il legale.
I dubbi
“Il vero problema è che sui social network tutti ormai scrivono tutto, facendo copia e incolla, o download di video, canzoni, libri, foto di infografiche e di qualsiasi contenuto altrui che ritengano interessante, senza chiedersi se sia giusto o no, ma solo per avere visibilità. Non c’è una cultura sul copyright, la gente non ha idea che non si può prendere un giornale e copiarne un contenuto pari pari” avverte Andrea Albanese, social media manager. “C’è poi un altro aspetto critico: una volta postato, il contenuto diventa di proprietà della piattaforma, per sempre, quindi la normativa non risolve del tutto una situazione da far west. È un po’ come nel film in cui Totò pretendeva di vendere la fontana di Trevi” dice Albanese, riferendosi al fatto che i provider guadagnano con le pubblicità generate dai contenuti postati.
Un ultimo aspetto riguarda il fatto che i social network e in particolare Facebook non sono testate registrate e non sono responsabili di ciò che una persona scrive. Insomma, la direttiva, che comunque dovrà essere recepita e non si sa ancora come, non risolve un problema che riguarda 3,5 miliardi di persone nel mondo” conclude Albanese.