La nebbia copre tutto, ma non riesce a nascondere le grida. Un lamento senza riposo, strozzato solo da un suono metallico. Dietro alle sbarre migliaia di maiali mordono ossessivamente tubi innocenti, circondati da bisturi mescolati a escrementi e topi che passeggiano senza troppa paura. Benvenuti in un allevamento intensivo dove gli animali sono costretti a vivere ammassati l’uno contro l’altro. Nascosti dietro un’architettura del contenimento, li ritroviamo al banco frigo a pochi euro al chilo.
Qui, tra i capannoni della Pianura padana squarciati solo dal tormento, i problemi non mancano ma quello del Covid-19 appare distante. Eppure se negli ultimi decenni la frequenza delle zoonosi, le infezioni umane di origine animale, è aumentata, è possibile che la relazione con ciò che accade da queste parti sia molto più stretta di quanto pensiamo.
Epidemie e attacchi all’ambiente
Sars, Mers, Ebola, influenza suina e aviaria, e adesso il coronavirus. Le epidemie hanno origini e tempi diversi, ma molti scienziati ritengono che le loro cause siano da ricercare nell’aggressione dell’uomo all’ambiente. Cambiamenti climatici che modificano l’habitat, continua erosione di ecosistemi, consumo avido di risorse: è il comportamento umano a favorire il salto di qualità dei virus.
Siamo intimamente interconnessi con la natura, anche se ormai tendiamo a non accorgercene, e gli effetti di ogni nostra azione si ripercuotono inevitabilmente su di essa e di conseguenza sulla nostra salute. «Queste malattie possono sembrare terremoti, in realtà sono più simili agli uragani: si verificano più frequentemente e diventano più potenti se gli esseri umani alterano l’ambiente in modo sbagliato» chiarisce Kate Brown, docente di Scienze e Tecnologie del Massachusetts Institute of Technology.
Anche il biologo statunitense Rob Wallace, autore del saggio Big farms make big flu (I grandi allevamenti generano pandemie), ha scritto che questa emergenza dovrebbe spingerci a riflettere sull’attuale sistema di produzione del cibo. «Negli ultimi 40 anni la produzione globale di animali destinati al consumo alimentare è cresciuta una volta e mezza più velocemente della popolazione. Spesso in condizioni non dignitose, come dimostra questo allevamento» avverte Francesco, il Caronte che ci accompagna in questo viaggio. Ha poco più di 30 anni ed è il responsabile investigativo di “Essere Animali”, una onlus che documenta ciò che non ci piace vedere sul cibo che arriva nei nostri piatti.
Per varcare la porta dell’inferno si indossano tute anti-contaminazione, guanti e mascherine. Strumenti uguali a quelli che oggi usano medici e infermieri per proteggersi dal virus. «La situazione è pericolosa e anche noi possiamo trasmettere malattie agli animali» confida Francesco. Al primo girone, una distesa di scrofe pronte per essere inseminate. Più giù le altre, le hanno già infilate in un box di ferro per partorire. Corpi martoriati da ferite e iniezioni e dentro la mangiatoia testicoli e code tagliate. «Vogliamo porre fine a queste crudeltà. I supermercati devono tenere conto delle richieste dei consumatori, vincolando i fornitori a superare l’uso delle gabbie e le mutilazioni. Se saremo in tanti a chiederlo dovranno ascoltarci» spiega Francesco.
Fabrizio, un altro attivista: accompagna Francesco con la radiolina, si muovono come in una missione di guerra. L’ultima volta sono stati inseguiti con i bastoni da un allevatore e non credevano di uscirne vivi. Perché illuminare l’orrore dà fastidio e fa perdere affari. Fabrizio per capire meglio si è infiltrato per 3 mesi tra le batterie di galline: «Non potevano mai uscire all’esterno, erano una sopra l’altra» ricorda. «Anche chi lavora in questi capannoni spesso è invisibile». Migranti, indiani o dell’Est Europa con turni massacranti e mansioni che molti di noi non accetterebbero.
Antibiotici, pesticidi e letame formano un cocktail pericoloso, in grado di aumentare il livello di polveri sottili nell’aria. E quando le polveri sottili salgono i casi di Covid-19 aumentano
«Appena entri vorresti subito uscire. C’è un forte odore di ammoniaca che proviene dall’accumulo degli escrementi» racconta Alberto, studente di 26 anni infiltrato in un’azienda che alleva polli. Una situazione fuori controllo e un sistema che necessità di enormi quantità di mangime, acqua, pesticidi, farmaci.
Il costo nascosto della carne
È il costo nascosto della carne rivelato in un report di Greenpeace: 20 tipologie di farmaci, di cui 12 antibiotici e oltre 100 pesticidi differenti. Il tutto riversato in una trentina di fiumi e canali di irrigazione accanto ad allevamenti intensivi. A Roggio Savarona, nel bresciano, dall’acqua sono emersi 11 diversi farmaci veterinari, 7 dei quali antibiotici. Una trentina di pesticidi, di cui 9 non più autorizzati dall’Ue. Il risultato, combinato con le enormi quantità di letame disperse nei terreni, è un cocktail pericolosissimo per l’aria e le falde, capace anche di attaccare il nostro sistema immunitario.
«L’ammoniaca e gli altri additivi si liberano in atmosfera e si uniscono ad altre componenti generando polveri sottili, sostanze più pericolose che rimangono a lungo in circolazione ed entrano in profondità nei polmoni» osserva Gabriele Pellegrini che per Legambiente segue la provincia di Brescia dove il numero di suini, oltre 1,2 milioni, supera quello dei residenti. Proprio la Pianura padana, una delle zone più inquinate d’Europa, detiene anche il triste primato continentale di contagi da Covid-19. E a mettere in relazione i due dati non sono fumose teorie complottiste, ma studi scientifici accurati.
I ricercatori dell’università di Harvard hanno appena analizzato i casi di decesso negli Stati Uniti, dimostrando che a incrementi anche minimi di livelli inquinanti corrisponde un aumento del rischio di contrarre il virus del 15%. Anche un recente studio della Società italiana di Medicina ambientale in collaborazione con le università di Bari e Bologna va in questa direzione. «Gli ecosistemi sani portano a una società sana. Mettere in sicurezza campi e allevamenti non è certo un prezzo troppo alto da pagare per risolverli» ha dichiarato il commissario europeo all’Ambiente Virginijus Sinkevicius. «L’Unione europea intensificherà gli sforzi per controllare il commercio di specie selvatiche e rendere l’agricoltura industriale più sostenibile, perché entrambe le questioni hanno avuto un ruolo nella pandemia di coronavirus». Anche perché gli effetti che stiamo subendo in queste settimane rischiano di essere solo l’anteprima di ciò che ci aspetta nei prossimi anni con il cambiamento climatico.