Il primo caso di bambino di poche settimane con difficoltà respiratorie tipiche del Coronavirus ha portato l’attenzione sui rischi per i più piccoli. Bisogna dire subito che i bambini risultano essere i più resistenti alla malattia. Finora i casi di contagio da COVID-19 tra i bambini sono stati pochissimi e mai preoccupanti: «I bambini si ammalano raramente e in genere superano bene la malattia» ha confermato Luca Lorini, Direttore della Terapia intensiva dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo dove il piccolo paziente è ricoverato.
Il caso di Bergamo
Il bambino risultato positivo al tampone è di Alzano Lombardo, in Val Seriana (Bergamo) ed è stato ricoverato nel reparto di Patologia neonatale dell’ospedale Papa Giovanni XXIII. Giunto con sintomi compatibili con il Coronavirus, respirava autonomamente «non è stato intubato ed era già in un percorso di assistenza post nascita» ha spiegato il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro. «Un caso non fa la medicina, la medicina si fonda sulle statistiche e i numeri dell’epidemia finora mostrano che i bambini sembrano protetti in modo naturale da questo nuovo coronavirus. Questo non significa che siano immuni, ma che potrebbero non avere alcuni recettori che portano a sviluppare la malattia. oppure che potrebbero svilupparla in modo lieve. Questo accade anche per altri virus» spiega il professor Alfredo Guarino, docente ordinario di Pediatria all’Università Federico II di Napoli.
Perché i bambini reagiscono meglio
«La premessa è che i bambini hanno un assetto molecolare differente rispetto agli adulti. Per questo non sviluppano o superano diversamente alcune patologie rispetto agli adulti, che reagiscano in modo diverso ad alcuni attacchi da parte dei virus» dice Guarino. «Esistono numerosi coronavirus (responsabili anche dei raffreddori) ed è possibile che i più piccoli sviluppino difese immunitarie che li proteggono anche dal COVID-19». Aggiunge Rocco Russo, responsabile del tavolo vaccinazioni della stessa SIP: «Una delle ipotesi è che ci può essere un meccanismo immunitario tale per cui un bambino in età pediatrica che è venuto precedentemente in contatto con un virus della famiglia del coronavirus – tra i quali molti responsabili di raffreddori tipici di questa fascia di età – nel momento in cui viene ora a contatto con nuove infezioni o forme virali, tra le quali il COVID-19, può avere sviluppato un meccanismo di anticorpi che possono cross-reagire con il COVID-19. In altri termini può avere una risposta anticorpale tale che lo protegge anche dal nuovo coronavirus».
Come spiegare il caso bergamasco?
«Come dimostrato da uno studio finlandese molto rigoroso, nei bambini ci sono mediamente 6 potenziali patogeni, ossia cause di possibili malattie. Il fatto che il bambino di Bergamo sia risultato positivo al tampone ci dice che è stato contagiato dal COVID-19, ma non ci assicura che il motivo per cui le sue condizioni sono più gravi sia proprio il nuovo Coronavirus. Al momento non abbiamo strumenti per stabilire con certezza che ruolo possa avere avuto il COVID-19 o che sia proprio lui il patogeno responsabile della malattia in corso» spiega l’esperto. «Dobbiamo attenerci ai numeri e questi ci dicono che i bambini sono colpiti in modo minimo dalla patologia del COVID-19» spiega il docente.
Oltre a una diversa risposta immunitaria, a contribuire alla bassa incidenza c’è il fatto che i più giovani sono in genere in buona salute, ed è quindi più raro che abbiano altre patologie che potrebbero aggravarsi a causa del Coronavirus, come invece accade negli anziani o negli immunodepressi (per esempio, persone in chemioterapia).
Le statistiche
Secondo il Chinese Journal of Epidemiology, che ha diffuso dati aggiornati fino ai primi di febbraio, non ci sono stati decessi sotto i 10 anni. Il Coronavirus avrebbe colpito appena lo 0,2% dei soggetti nella fascia d’età 10-19 anni, percentuale che non aumenta fino ai 39 anni. Dopo i 40 si segnala un aumento del rischio (04,%), che cresce in proporzione all’avanzare dell’età: 1,3% fino a 59 anni, 3,6% fino ai 69, 8% tra gli over 70 e 14,8% tra gli ultra 80enni.
Sono pochissimi i casi anche in Italia: riguardano una bambina di 4 anni di Castiglione D’Adda in “zona rossa”, un bambino di 10 anni e un ragazzino di 15 sempre in Lombardia, e una bambina di 8 anni in Veneto, tutti con sintomi lievi e in buone condizioni.
Anche in occasione dell’epidemia di Sars nel 2003 ci furono solo una decina di casi tra i bambini su un totale di oltre 8.000 contagi e 774 vittime. Secondo i Centers for Disease Control and Prevention i bambini sotto i 12 anni, quando si ammalavano, avevano sintomi lievi. Lo stesso si può dire con la Mers, la sindrome respiratoria acuta diffusa in Medio Oriente tra il 2012 e il 2013.
Norme igieniche anche per i più piccoli
In ogni caso i pediatri ripetono che una maggiore risposta positiva da parte dei bambini non è garanzia di non contagio. Vanno seguite le normali regole igieniche, anche per evitare che i più piccoli siano veicolo di contagio per gli adulti con cui entrano in contatto. Occorre che si lavino le mani per almeno 20-30 secondi, e che evitino di toccarsi naso, bocca e occhi.