La limitazione ai movimenti e la paura di uscire di casa hanno avuto come primo effetto una riduzione delle donazioni di sangue, soprattutto da parte di donatori abituali. «Donare il sangue è un gesto fondamentale che salva vite umane e che, nonostante l’emergenza data dal coronavirus, avviene in assoluta sicurezza» ha chiarito il capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, aggiungendosi agli appelli dell’AVIS.
Perché donare, in particolare adesso?
Per aiutare i pazienti cronici
«Donare serve sempre per curare: basti pensare che in condizioni normali ogni giorno 1.800 pazienti ricevono trasfusioni di sangue» spiegano dall’AVIS nazionale. Oggi, a causa del coronavirus, sono calate le riserve di sangue, soprattutto in Lombardia, che è la regione che più di ogni altra dona sangue. I problemi sono due e riguardano i globuli rossi e il plasma. Per quanto riguarda i globuli rossi, dobbiamo mantenere le scorte ad alto livello per quando riprenderanno a pieno ritmo le attività chirurgiche, oggi sospese se non indispensabili. Nel frattempo dobbiamo garantire i pazienti cronici, come talassemici, malati oncologici o pazienti leucemici» dice presidente nazionale AVIS, Gianpietro Briola.
Per continuare la produzione di farmaci
«Per quanto riguarda il plasma, invece, se calano troppo le quantità tra 6/9 mesi non saremo più in grado di produrre farmaci plasmaderivati, che sono salvavita e contengono fattori di coagulazione, albumina e soprattutto immunoglobina. Il problema non sarà solo italiano, quindi quelli che hanno i farmaci non immettono sul mercato già ora per via dei blocchi. Il risultato è che i nostri malati potrebbero non averne a disposizione» conclude Briola, che è anche dirigente responsabile del Pronto Soccorso dell’ospedale di Manerbio, che si trova tra Brescia e Bergamo, due province alle prese con un numero elevatissimo di contagi da COVID-19.
Si rischia a donare il sangue?
L’AVIS rassicura: non bisogna avere paura dei contagi perché ad oggi le evidenze scientifiche hanno mostrano che non c’è alcuna trasmissibilità del coronavirus attraverso il sangue. Non è come il virus dell’HIV, ad esempio, ma si trasmette per via aerea.
Come e dove donare: si prenota o ci si reca direttamente in sede?
Per poter donare occorre per prima cosa contattare il centro trasfusionale più vicino: sul sito (www.Avis.it), oltre a una sezione dedicata al coronavirus, c’è l’apposito spazio Cerca la tua sede, con l’elenco delle 3.400 disponibili su tutto il territorio nazionale. Si telefona e viene effettuato un primo triage telefonico, tramite un questionario sulle condizioni generali di salute dell’aspirante donatore. Una seconda valutazione viene fatta al momento dell’appuntamento, preso con i volontari AVIS, sia nei centri dell’associazione sia presso gli ospedali, dove comunque non si entra in contatto con pazienti contagiati da coronavirus e gli accessi sono scaglionati e contingentati. Esistono poi anche i mezzi mobili che continuano a girare per il Paese.
Ma ci si può spostare per donare?
«Se il donatore è in buona salute è libero di muoversi per raggiungere il centro trasfusionale, come spiegato dal ministro della Salute e come precisato nella relativa circolare che ha inserito la donazione di sangue ed emocomponenti tra le situazioni di necessità per le quali si può uscire di casa» spiega il presidente dell’AVIS nazionale, Briola. Anche se basta l’autocertificazione scaricabile sul sito del ministero dell’Interno (la stessa che si usa per motivi di salute, gravi necessità o impegni di lavoro), l’AVIS ha deciso di integrare la documentazione: invia tramite email la conferma di avvenuta prenotazione per la donazione e, una volta effettuata, rilascia la stessa certificazione che normalmente viene consegnata ai lavoratori dipendenti che sono donatori, da presentare al datore di lavoro (e che dà diritto a un giorni di assenza dal lavoro, retribuito).
I controlli prima di donare: tampone sì o no?
Il donatore non è sottoposto a tampone, ma una volta nella sede indicata (o nei centri all’interno degli ospedali) viene nuovamente visitato e si seguono tutti i protocolli già in essere per la tutela sia del donatore che dei medici e del personale sanitario. «Proprio a protezione di questi ultimi, il donatore è comunque tenuto a comunicare l’eventuale comparsa di sintomi compatibili con il coronavirus, che si siano manifestati nei 15 giorni successivi alla donazione» spiegano dall’AVIS.
Donare abbassa le difese immunitarie?
È un dubbio frequente anche tra i donatori abituali che oggi, in piena emergenza coronavirus, temono di risultare “indeboliti” dalla donazione e quindi più esposti a un possibile contagio da COVID-19. «Assolutamente no: donare sangue non influisce sulla capacità del sistema immunitario di reagire a possibili contatti con il virus» conclude Briola.