Curare il coronavirus a casa è possibile, anche se non significa affidarsi al fai-da-te. Ai primi sintomi della malattia, infatti, occorre avvertire il proprio medico di famiglia o il pediatra, per iniziare a seguire una terapia che può limitare il ricorso all’ospedale, se non strettamente necessario. La Società italiana di medicina generale (Simg) ha messo a punto un vademecum, con alcuni consigli per capire come, quando e con che farmaci intervenire in maniera precoce. Ecco le indicazioni del presidente, Claudio Cricelli, anche in base all’età.

Chi può curarsi a casa e come?

A distanza di un anno dall’inizio della pandemia la Simg, in collaborazione con la Società italiana di malattie infettive e tropicali, ha stilato una serie di raccomandazioni rivolte ai medici di famiglia per trattare i pazienti a casa. Non si tratta, dunque, di automedicazione, ma di indicazioni che permettono di evitare, se possibile, il ricorso all’ospedale. Chi può rimanere a casa, dunque? «I pazienti asintomatici o quelli con malattia lieve o moderata senza fattori di rischio per evoluzione sfavorevole, inclusi età superiore a 60 anni, fumo, obesità, malattie cardiovascolari, diabete mellito, malattia polmonare cronica, malattia renale cronica, immunosoppressione e cancro» spiegano i medici di medicina generale. Dunque anche i soggetti potenzialmente più fragili possono essere curati a domicilio, se esistono le condizioni. Ma quali sono i sintomi a cui prestare attenzione?

Quali sono i sintomi da segnalare?

Se durante la prima ondata pandemica le attenzioni erano rivolte a riconoscere e distinguere l’influenza dal Covid, quest’anno il dubbio è pressoché azzerato: «Quest’anno non c’è rischio di confondere per il semplice motivo che l’influenza non c’è e non c’è quasi stata, grazie all’uso della mascherina. Questo significa che qualsiasi sintomo sospetto va comunicato al proprio medico in modo tempestivo» chiarisce Claudio Cricelli, presidente della Simg. «Il ricovero è necessario quando i segni vitali diventano instabili», dice poi la Simg, o quando l’ossigenazione “diminuisce rapidamente, cioè entro 2 ore”».

Cosa fare in caso di febbre?

Richiamando le indicazioni dell’Oms, viene suggerito il ricorso al paracetamolo in quanto antipiretico e antidolorifico, per poi eventualmente passare agli antinfiammatori. «I farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans), inclusi l’acido acetilsalicilico (aspirina, NdR) e l’ibuprofene, sono risultati efficaci nel trattamento della sindrome simil-influenzale Covid-19 correlata – si legge nelle raccomandazioni – ed inoltre dimostrano un potenziale beneficio nel contrastare la tempesta citochinica», cioè esageratamente violenta da parte delle difese immunitarie che, invece che proteggere dal virus, finisce col danneggiare tutti gli organi del paziente, in maniera potenzialmente anche letale.

Aspirina o tachipirina?

Alcune associazioni di medici, però, hanno presentato ricorso contro queste linee guida, in particolare per quanto riguarda il paracetamolo e la «vigile attesa». Consigliano invece la sola aspirina e di ricorrere subito alle cure, senza attendere qualche giorno. «Si tratta di un equivoco. Le raccomandazioni restano queste, ribadite nelle scorse ore dall’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco. I giudici hanno solo stabilito che un medico può, «in scienza e coscienza» e previo consenso informato da parte del paziente, discostarsi dalle raccomandazioni, sotto la sua responsabilità civile e penale. Le nostre indicazioni – continua Cricelli – sono frutto dell’analisi di 74 documentazioni in tutto il mondo».

Il saturimetro è utile?

Per controllare la saturazione del sangue e dunque la corretta ossigenazione, viene suggerito l’uso del pulsossimetro o saturimetro, «a riposo e dopo sforzo (test del cammino o della sedia)».

Quali farmaci servono davvero?

Per quanto riguarda gli antivirali, la somministrazione «non è raccomandata a domicilio. Data l’evidenza di inefficacia, lopinavir/ritonavir non è raccomandato per il trattamento di pazienti con Covid-19» spiega la Società italiana dei medici di medicina generale. Quanto all’idrossiclorochina o clorochina, prima sospesa da Aifa poi riammessa, la Simg scrive che «in una recente revisione sistematica e meta-analisi di studi randomizzati controllati, non è stata trovata alcuna prova dell’efficacia». Quanto all’eparina, con particolare riferimento al rischio di trombo-embolie, la Simg spiega che «i pazienti Covid-19 costretti a letto con sintomi respiratori acuti potrebbero essere trattati con Ebpm (eparina, appunto, Ndr) a casa per prevenire il tromboembolismo polmonare».

Cortisone e antibiotici: sì o no?

Le raccomandazioni per i medici di famiglia si richiamano alle indicazioni dell’Oms, che «raccomanda l’uso di steroidi nel Covid-19 solo per malattia severa ed è contraria al suo utilizzo su pazienti Covid-19 non gravi. La maggior parte dei pazienti Covid-19 a casa non è grave, quindi l’uso di steroidi a domicilio è limitato». Quanto agli antibiotici, «non dovrebbero essere prescritti a casa a meno che non vi sia un forte sospetto clinico di una superinfezione batterica» come nel caso di ricomparsa di febbre, o in presenza di polmonite o infezione batterica.

Vitamina D: quando serve?

Un altro capitolo dibattuto riguarda la possibilità di ricorrere agli integratori di Vitamina D. Per la Simg «in uno studio prospettico osservazionale, la carenza di vitamina D è stata riscontrata come più frequente nelle forme severe di Covid-19 tali da richiedere il ricovero in terapia intensiva. Pertanto, alcuni autori hanno suggerito l’uso della Vitamina D con l’obiettivo di prevenire o trattare il Covid-19, ma sono necessari ulteriori studi» per valutare l’efficacia di un’integrazione.

Cosa cambia per i giovani?

Se nella prima e seconda ondata i contagi hanno riguardato soprattutto gli anziani, da qualche settimana l’età media dei pazienti Covid si è abbassata. Cosa cambia nelle cure? «Non esiste una regola generale negli interventi, in base all’età. È il medico di medicina generale che può fare una valutazione complessiva, anche tenendo conto dei contatti, dei rapporti familiari, del contesto quotidiano (lavoro, scuola, ecc.) e del quadro clinico generale di ogni persona, che potrebbe avere particolari patologie o caratteristiche» spiega Cricelli.

Attenzione ai soggetti fragili

I soggetti particolarmente fragili, come i pazienti oncologici, cardiopatici o soggetti con disturbi circolatori, invece, «sono persone con un rischio molto maggiore, quindi le cautele vanno aumentate. Per questo è importante vaccinarsi e, anche dopo, ricordare che non si è esenti dalla possibilità di trasmettere il contagio o di reinfettarsi, perché mancano ancora dati certi su questo tipo di protezione data dai vaccini a disposizione» conclude l’esperto.