È come se vivessimo su un’isola felice in mezzo a un mare in tempesta. Abitiamo a Ferrera Erbognone, a pochi chilometri da Pavia, che è uno dei focolai del COVID-19, eppure da noi il coronavirus non è arrivato: su circa 1.200 abitanti, non c’è neanche un contagiato. Io sono ricercatore di medicina legale presso l’Università di Pavia e sono il Sindaco di questo paese che nel giro di poche ore ha attirato l’attenzione di tutta l’Italia proprio perché qui, tra i miei concittadini, non c’è alcun malato. È chiaro che mi sia chiesto il perché e proprio per questo ho proposto che fosse condotto uno studio che, non appena arriverà l’autorizzazione da parte dell’unità di crisi della Regione Lombardia, sarà condotto dall’Istituto Toniolo. Con un’ordinanza ho esortato i miei concittadini a sottoporsi a un semplice esame del sangue e loro – i “ferrarini”, come sono chiamati gli abitanti del nostro Comune – hanno risposto con entusiasmo: tutti ci interroghiamo per capire se davvero godiamo di una sorta di immunità naturale.

Non so se si tratti di una congiuntura favorevole o se sia frutto del fatto che la nostra comunità sia molto ligia al rispetto delle norme. Abbiamo una popolazione con un’età media piuttosto elevata, intorno ai 60/65 anni. I giovani tra i 17 e i 25 anni sono poco più di una trentina, viviamo ancora di rituali, anche se i tempi sono cambiati rispetto a quando ero ragazzo io. Si sono un po’ persi i punti di aggregazione: oggi in paese abbiamo un ristorante-pizzeria, un pub e due bar. I cinema sono chiusi da tempo, i centri commerciali sono più distanti e ci si va magari alla domenica per fare la spesa, specie in inverno. Però in paese rimangono ancora dei punti di riferimento: oltre al Sindaco, ci sono il parroco, don Lorenzo, e il medico, il dottor Testa. E poi ci sono figure alle quali siamo affezionati tutti, perché fanno parte della nostra grande famiglia allargata, come Gaia, che è la bottegaia, la titolare del negozio di alimentari del paese. Alla domenica, quindi, dopo la Messa ci si trova ancora al bar per scambiare due chiacchiere, anche se non bisogna pensare che siamo rimasti chiusi e ancorati al passato. La maggior parte della popolazione lavora fuori dal Comune, come me. Diciamo che se ai miei tempi, quando ci si trovava alla sera al pub con gli amici – specie d’estate – si tornava a casa all’una di notte. Oggi i ragazzi a quell’ora escono per andare in discoteca nelle zone limitrofe, come accade a tutti i giovani.

Il mio paese adesso fa notizia: certo, mi fa piacere che non ci siano contagiati da coronavirus, ma c’è una qualità dei ferrarini che mi piacerebbe si conoscesse di più e di cui sono particolarmente orgoglioso: siamo solari ed estroversi, molto più della media degli abitanti del nord Italia, sui quali pesa il pregiudizio di essere un po’ più “freddi”. La nostra cordialità contribuisce a motivarmi nel lavoro di Sindaco. L’ho fatto per la prima volta dal 2000 al 2004, poi dopo una parentesi sono tornato primo cittadino. Cosa mi spinge a farlo, visto che ho già un altro lavoro? Lo sento quasi come un dovere nei confronti dei concittadini, con cui ci sentiamo parte di una grande famiglia. È un impegno che costa sacrifici in termini di tempo, che a volte però sono ripagati dalla popolazione, quando si capisce di aver lavorato bene. In questo caso e in questo momento mi sento di voler far qualcosa non solo per i ferrarini, ma per tutti. Se lo studio con l’Istituto Toniolo andrà in porto potremo comunque dare un contributo alla ricerca scientifica, magari scoprendo perché noi non ci siamo ammalati.