Qualcuno ha definito un “gioco d’azzardo” la decisione del Regno Unito, ormai unico paese del continente europeo a non aver adottato misure restrittive dei movimenti e chiusure per evitare il propagarsi del contagio del coronavirus. Secondo il premier britannico, Boris Johnson, occorre che il COVID-19 circoli e colpisca il 60% della popolazione perché si sviluppi l’immunità di gregge. Idea che ha trovato l’opposizione della comunità scientifica: «Io spero che la posizione britannica sia stata malintesa o comunicata male, perché l’immunità di gregge e le misure di contenimento sono due cose diverse» premette l’epidemiologo Pierluigi Lopalco. «Solo quando queste ultime saranno terminate si potrà valutare una eventuale immunità di gregge, cioè se il virus si sarà fermato o meno. Ma certo non è lasciando il virus libero di diffondersi che si formerà un’immunità di gregge».
L’immunità di gregge dipende dal vaccino, non si crea da sola
Si parla di immunità di gregge quando una parte significativa della popolazione (in media intorno al 95%) è coperta da vaccinazione. Questo garantisce una protezione indiretta anche a coloro che non possono vaccinarsi per vari motivi (per esempio, immunodepressi) o rappresentano una fascia debole, priva di una propria immunità. Il governo inglese non ha voluto adottare misure restrittive come quelle italiane per due motivi: secondo il consigliere scientifico del governo britannico, Patrick Vallance, si avrà una maggiore capacità di intervento nei casi più gravi e un’immunità di gregge per la quale occorrerebbe che il 60% della popolazione venga a contatto con il virus.
Non conosciamo il virus per capirne la reazione sul corpo
Per il direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, Giovanni Rezza, la strategia britannica è «una cosa assurda» e «ridicola». D’accordo Margaret Harris dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS): «Non conosciamo abbastanza il virus, non è stato nella nostra popolazione a sufficienza per capire come agisce da un punto di vista immunologico. Ogni virus funziona diversamente nel corpo e stimola un differente profilo immunologico». Il virus dell’epatite C, ad esempio, non dà immunità.
I virus non si auto-eliminano
Come spiega il virologo Roberto Burioni sul proprio canale YouTube MedicalFacts «Non ha senso parlare di immunità di gregge per il coronavirus: prima di tutto non sappiamo se chi lo ha preso è protetto da una successiva infezione. Potrebbe infettarsi nuovamente con sintomi più lievi, ma pur sempre trasmetterlo agli altri. In secondo luogo non abbiamo un vaccino contro il coronavirus e in generale i virus non si autoeliminano da soli. Il morbillo se ne è andato da intere regioni del mondo quando abbiamo iniziato a fare il vaccino». Lo stesso vale per la poliomielite e il vaiolo («che aveva una mortalità del 30%» ricorda Burioni).
Perché va rallentato il contagio
L’epidemiologo Pierluigi Lopalco chiarisce a Donna Moderna: «Dal momento che non abbiamo vaccino, l’immunità di gregge, che alla fine farà arrestare la corsa del virus, bisognerà ottenerla attraverso l’infezione. Le misure di contenimento e di rallentamento però servono affinché, a parità di infezioni, l’impatto sulla salute sia il più basso possibile. Cioè rallentando la corsa del virus potremo curare quelle persone che prenderanno la polmonite. Se invece si lascia il virus libero di correre, non riusciremo a guarirle e quindi ci saranno molte vittime. In generale l’immunità di gregge che si realizza dopo l’epidemia è identica in entrambi i casi, solo che con un picco di contagi alto e stretto avremo anche molti morti, mentre con una curva bassa e lunga avremo persone che saranno guarite e forse immunizzate» spiega Lopalco, professore di Igiene all’università di Pisa. Non a caso il premier britannico, Johnson, ha avvertito la popolazione: «Voglio essere onesto con voi. Molte famiglie perderanno prematuramente alcuni loro cari».
«In questo caso a complicare la situazione c’è che non sappiamo quale sarà l’immunità a lungo termine di questo virus. Potremmo anche avere la brutta sorpresa di ottenere un’immunità di gregge dopo un’ondata epidemica, per poi trovarci tra un anno nell’identica situazione, perché il virus potrebbe reinfettare le persone contagiate l’anno prima» aggiunge l’esperto, che conclude: «L’unica strada percorribile è quindi rallentare la diffusione del coronavirus».
Il rischio della mutazione e di nuovi focolai
«Purtroppo è possibile che il virus muti, ma al momento non possiamo prevederlo. Per l’influenza sappiamo che è così, per questo si sottolinea l’importanza della vaccinazione» conferma l’epidemiologo. Non va neppure dimenticato il rischio di nuovi focolai: «Come già avvenuto con altri virus (per esempio il morbillo, dopo una prima ondata che in genere colpisce il 30/60% della popolazione si assiste a un primo calo dovuto all’immunità di gregge, ma poi arrivano altre ondate, con nuovi focolai» ha spiegato il virologo Fabrizio Pregliasco, direttore scientifico dell’Istituto Galeazzi di Milano. Ma prima di scoprire un vaccino, testarlo, produrlo e commercializzarlo non passerà, secondo gli esperti, meno di un anno. Nel caso della MERS, la sindrome respiratoria acuta che si è diffusa nel Medio Oriente nel 2012, si sta sperimentando solo adesso.
Unica arma: stare a casa
L’unica strada è dunque il contenimento, anche se in una prima fase non tutti gli esperti sono stati concordi sulla necessità, ad esempio, di chiudere le scuole: «Si è trattato di una stretta minoranza, che forse sottovalutava le potenziali conseguenze del coronavirus sui singoli individui e la sua velocità. Sicuramente alcuni erano scettici sull’impatto che avrebbe avuto sulle strutture sanitarie. Quei pochi, dopo aver visto quanto accaduto in Lombardia, si sono ricreduti» commenta Lopalco.