«L’altra mattina l’atmosfera in reparto era rarefatta: fai le tue cure e intanto pensi che un virus potrebbe rendere tutto inutile». Antonella ha 60 anni e da 2 ha un polmone solo per colpa del cancro. Ogni 2 settimane entra all’IRCCS Ospedale San Raffaele, alle porte di Milano, per l’immunoterapia. Anche in questi giorni in cui tutta Italia lotta contro il coronavirus. La Lombardia e altre 14 province del Centro-Nord (che fino al 9 marzo facevano parte della zona arancione) sono state isolate per limitare l’epidemia, gli ospedali stravolgono la routine e cambiano l’organizzazione per affrontare l’aumento esponenziale di contagiati, con i reparti di terapia intensiva al limite.
In Lombardia, per esempio, sono stati individuati 18 “hub” che si occuperanno dei grandi traumi, delle urgenze neurologiche e cardiovascolari e delle patologie le cui cure non possono essere procrastinate. Obiettivo: ampliare la disponibilità delle altre strutture per gli affetti da Covid-19. Perché in ogni ospedale, accanto a loro, ci sono altri malati che devono essere curati, continuare le loro terapie. Innanzitutto, i pazienti immunodepressi (vedi box), nei quali il sistema di difesa dell’organismo, quello che li protegge da virus e batteri, non è efficace come dovrebbe. Milioni di persone, di cui fanno parte i 3 milioni e mezzo di malati con una diagnosi di cancro. Come Antonella.
Sono 12.000 le terapie somministrate ogni anno al reparto di Oncologia medica del San Raffaele. Da quando è scoppiata l’epidemia di coronavirus, la struttura milanese è sotto i riflettori: prima c’è stato un caso sospetto, risultato negativo ai controlli; poi gli specialisti del laboratorio di Microbiologia e Virologia hanno isolato il ceppo milanese del virus. Oggi l’ospedale ha in cura alcuni contagiati, ricoverati in un reparto di Malattie infettive creato ad hoc, con 27 posti letto. In tutta la struttura poi, riorganizzando alcuni reparti, sono stati creati altri 19 posti di terapia intensiva, tutti dedicati ai contagiati.
La sfida è assicurare la massima assistenza per sconfiggere l’epidemia, ma al tempo stesso “difendere” gli altri malati. Stefano Cascinu, direttore di Oncologia, parla con voce pacata e attenta: «Abbiamo dovuto valutare subito la portata dell’emergenza e riorganizzarci al meglio, soprattutto per il day hospital». Al suo fianco c’è Daniela Tripi, caposala della Linea Arianna, il reparto dedicato alle terapie oncologiche: «Già all’inizio di febbraio (quando il governo aveva preso le prime misure, come il blocco dei voli dalla Cina, ndr) la Direzione sanitaria ha organizzato un seminario rivolto agli operatori sanitari e al personale interessato. Il tema era l’infezione da nuovo coronavirus: virus, diagnosi, epidemiologia… Grazie alle conoscenze acquisite abbiamo potuto spiegare ai malati cosa significhi per loro. I primi giorni erano molto preoccupati, ci chiedevano se avrebbero dovuto sospendere le cure. Non abbiamo mai smesso di rispondere ai loro dubbi con puntualità e precisione, cercando di evitare tecnicismi ostici. Sono pazienti che vivono sempre in allerta».
«Se il virus mi colpisce, il rischio è altissimo»
«Se il virus mi colpisce, il rischio è altissimo». Antonella lo sa bene. «Seguo tutte le precauzioni indicatemi dai medici, tra cui il divieto di prendere mezzi pubblici e stare in luoghi affollati. Giovedì scorso ho fatto l’infusione di immunoterapia, la più adatta nel mio caso, in day hospital. Le parole e l’empatia del personale ci hanno rasserenate. Sono professionisti speciali, sempre attenti perché lavorano con persone fragili. Ecco, una differenza c’era: medici e infermieri portavano le mascherine».
Precisa Cascinu: «Noi indossiamo le mascherine per proteggere i pazienti oncologici ma soprattutto quelli con tumori del sangue, che hanno le difese immunitarie più basse e sono quindi più fragili: visitiamo decine di persone, qui in ambulatorio ne arrivano in media 50 al giorno, dobbiamo essere attentissimi per non rischiare di trasmettere poi il Covid-19 ai pazienti».
Per lo stesso motivo l’organizzazione quotidiana è ancora più ferrea. «La sera prima della terapia telefoniamo al paziente per verificare che non abbia sintomi riconducibili a infezioni delle vie respiratorie» continua Cascinu. «Abbiamo rimandato la terapia di un nostro malato proveniente dal Lodigiano, anche se non aveva disturbi ed era risultato negativo al tampone. E abbiamo sconsigliato a un altro di venire in treno da Bologna alla visita di controllo. Posticipiamo gli appuntamenti rimandabili per non sottoporre le persone a rischi. Per il resto, ovviamente, non rivoluzioniamo i trattamenti oncologici».
«Rimango sconvolta vedendo sia chi assalta i supermercati sia chi non rinuncia a un aperitivo o a una sciata»
A cambiare è tutto il resto. Specie fuori dall’ospedale. «Rimango sconvolta vedendo sia chi assalta i supermercati sia chi non rinuncia a un aperitivo o a una sciata» riflette Antonella. «Quando combatti ogni giorno per la tua vita, anche la più globale delle emergenze assume una prospettiva diversa». Razionalità ed empatia non devono mancare nemmeno tra chi lavora in prima linea. «Se i pazienti vedono che stiamo facendo il massimo, si fidano. Hanno già familiarità con gli ospedali e sono abituati a lottare, perciò forse hanno meno paura» dicono Cascinu e Tripi. «Ora dobbiamo collaborare e imparare insieme».
Ha imparato parecchio, Antonella, in queste ultime settimane: «Sto affrontando un tumore, ogni istante è più prezioso che mai, conta esserci. Ho capito che il destino è più forte di tutto, quindi meglio investire energie in ciò che posso cambiare, che dipende da me. Rinunciare a un’uscita o spostare una visita non è importante. Lo è godermi i sorrisi delle mie 2 nipotine: sono la migliore medicina del mondo».
Chi sono gli immunodepressi
Il sistema immunitario è “l’esercito” del nostro corpo, che ci protegge da malattie, batteri e virus. Negli immunodepressi questo esercito è depotenziato, non è efficiente come dovrebbe. In alcuni casi l’immunodepressione è “primitiva”, ovvero presente dalla nascita, spesso a causa di malattie genetiche. In altri casi, è provocata da altre patologie (per esempio, cancro, epatite virale o Aids) e può essere una condizione temporanea o duratura.