Dei 28.710 malati complessivi di coronavirus in Italia (dati aggiornati al 18 marzo), 14.363 sono ricoverati con sintomi e 12.090 sono quelli in isolamento domiciliare. La situazione negli ospedali della Lombardia, la regione più colpita da questa emergenza sanitaria, è tristemente nota, con i posti letto in terapia intensiva che scarseggiano e medici e infermieri costretti a un lavoro massacrante.
Le tappe che deve seguire il malato
E fuori dagli ospedali? Come vengono curate e controllate le persone positive che, invece, restano a casa? Cosa deve fare chi accusa sintomi simili a quelli del COVID-19, e chi si occupa di lui o lei una volta destinato alle cure domestiche?
Per capirlo abbiamo ricostruito un “percorso del malato” con l’aiuto del dottor Vittorio Demicheli, direttore sanitario della ATS (Agenzia di tutela della salute) di Milano e della Città metropolitana, in questi giorni in prima linea nella gestione dell’emergenza. E questo percorso evidenzia il ruolo chiave dei medici di famiglia.
1. Hai i primi sintomi influenzali
Si parte dall’insorgenza dei sintomi influenzali: il malato ha febbre, tosse, mal di testa, spossatezza. «Se non manca il fiato, il riferimento resta il medico di medicina generale», spiega Demicheli. «Un presidio territoriale fondamentale, che invitiamo a rendersi reperibile al telefono per gran parte della giornata. Il medico effettua un triage telefonico, si fa raccontare bene i sintomi e, se valuta che questa persona può rimanere al domicilio come si fa nelle normali influenze, prescrive qualche farmaco per ridurre i sintomi e mette il paziente in sorveglianza».
2. Vieni messo in sorveglianza a casa
Il medico di famiglia semplicemente «invita il paziente a farsi risentire nei giorni successivi. Se tutto procede bene, basta questo. Naturalmente il medico di base raccomanda al paziente di rimanere in casa, di isolarsi il più possibile dai familiari, se ha una mascherina di usarla quando entra in contatto con qualcuno. Se questa persona vive da sola e ha bisogno di aiuto, la invita a contattare gli uffici comunali per far notare le sue esigenze. Se la persona malata non è completamente autonoma, attiva l’assistenza domiciliare integrata – l’aiuto di personale sanitario direttamente a casa. Proprio su questo fronte delicatissimo stiamo organizzando un servizio di continuità assistenziale per i malati sospetti COVID-19, perché questa assistenza infermieristica domiciliare deve essere operata da sanitari dotati delle opportune protezioni»cioè mascherine e presidi medici che nella prima fase dell’emergenza non erano disponibili per tutti e ancora non lo sono completamente».
3. Devi chiamare il 112
Nei casi gravi si prende la via dell’ospedale. Il medico invita a chiamare il 112 sia di fronte a un peggioramento dei sintomi respiratori, sia se il paziente, pur non faticando a respirare, non è migliorato dopo 5-6 giorni. «È bene allertare i soccorsi, che possono procedere con un controllo della saturazione, ossia la misurazione dell’ossigeno nel sangue», spiega il direttore sanitario. «Se un paziente chiama, ma ha solo la febbre, respira bene e non ha problemi di saturazione, viene lasciato a casa»
4. Vieni portato al pronto soccorso
«L’ossigenazione del sangue sotto certi livelli è un’indicazione molto chiara di una polmonite in atto, quindi è bene procedere con un passaggio in ospedale. In ogni caso, l’invito è di cercare l’accesso in ospedale attraverso il 112 e non con mezzi propri. La centrale regionale di soccorso conosce la ricettività dei diversi pronto soccorso e indirizza l’ambulanza verso quello dove la persona può ricevere assistenza. Molto meglio e molto più razionale fare così, perché in alcuni territori abbiamo avuto dei pronto soccorso che non erano più in grado di ricevere pazienti, proprio per la violenza dell’emergenza. Anche se ci sono momenti della giornata in cui la risposta telefonica non è immediata, è meglio procedere così rispetto a rischiare di presentarsi in presidi bloccati o con code infinite».
5. Ti viene fatto il tampone
Il pronto soccorso valuta se le condizioni del paziente sono abbastanza buone da permettere le dimissioni con sorveglianza casalinga o se, invece, serve un ricovero. «In Lombardia, per via dell’alto numero di accessi, il tampone per individuare il coronavirus serve innanzitutto per indirizzare adeguatamente il paziente in ambito ospedaliero. Dobbiamo sapere se c’è una positività per indirizzarlo alle aree di cura dedicate, che sono ovviamente reparti isolati. Questa è la linea guida attuale, fino a pochi giorni fa si tamponava molto di più e ci sono ancora molti positivi non ricoverati per questo, cioè persone non gravi ma positive. Ancora oggi, in qualche caso, vengono tamponate persone in pronto soccorso e poi mandate a casa, e ci sono i tamponati per motivi di sicurezza (come il personale di servizio). Solo dopo l’alleggerimento delle terapie intensive e la discesa della curva dei contagi si ragionerà di tamponi estesi».
5. Sei positivo ma senza gravi sintomi e vieni mandato a casa
«Chi risulta positivo ma non ha gravi sintomi viene invitato alla quarantena, con tutte le indicazioni del caso per l’auto isolamento. Contatti minimi con i familiari, confino in casa, aggiornamento continuo del medico di base. Parte una catena di invito all’auto isolamento: telefoniamo alla persona, raccomandiamo di stare a casa, diciamo di avvisare i familiari e le persone con cui ha avuto contatti stretti perché si autoisolino. Avvisiamo il medico competente dell’azienda per cui lavora, in modo che curi a sua volta l’identificazione dei contatti stretti in ambito lavorativo».
6. Devi stare in quarantena
E il controllo su questo auto isolamento? «Per il servizio sanitario è impossibile effettuare un controllo capillare su tutti i casi. In questo momento puntiamo sulla consapevolezza e responsabilità delle persone, e non dimentichiamo un aspetto importante: oggi, per effetto dei decreti governativi, chi esce di casa viola la legge e commette un reato. Vale sia per chi non ha un buon motivo per uscire, sia per chi è positivo al tampone o è un sospetto COVID-19, ma è stato rimandato a casa perché i sintomi sono lievi.
7. Il medico di base viene informato
Oltre alla proattività dei medici di base, che ricevono le segnalazioni dei casi sospetti e che sono invitati a monitorarli, alcune ATS non particolarmente oberate sono in grado di richiamare il paziente più volte nel corso della settimana, per verificarne lo stato di salute e per controllare che sia effettivamente a casa. Ma non posso dire che sia una azione uniforme e tempestiva, in questa fase le agenzie sanitarie territoriali si muovono con tempi diversi. Realisticamente, l’obiettivo è di sentire i pazienti almeno una volta nel corso della quarantena».
8. Si attiva l’assistenza domiciliare se ne hai bisogno
In termini di assistenza domiciliare, la sanità lombarda sta lavorando in queste ore sul potenziamento di due aspetti chiave: l’ambito delle cure palliative, per chi dovesse purtroppo averne bisogno, e la già citata attivazione dell’assistenza domiciliare infermieristica specifica per i sospetti COVID-19. «Stiamo cercando di dotare i medici di famiglia degli elenchi di tutti i soggetti che, per un motivo o per l’altro, devono rimanere al domicilio: i soggetti fragili (anziani e cronici), quelli positivi in quarantena, quelli in autoisolamento, ecc. in modo che possa costituire per loro in punto di riferimento, monitorare la loro salute e indirizzarli verso chi può fornire assistenza per bisogni di tipo sociale ».