«Le mance sono scese a zero, perché i clienti restano a distanza. A malapena ti salutano. E la mascherina l’ho avuta dal mio coinquilino che fa l’operaio. Se aspettavo loro…». Antonio (il nome è di fantasia, come gli altri dei suoi colleghi citati in questo articolo: hanno chiesto di non scrivere quelli veri) è uno degli oltre 2.500 riders che in questi giorni sfrecciano per le strade di una Milano deserta per consegnarci pizza e sushi.

Non possiamo chiamarli eroi. Non si trovano dentro un ospedale a salvare vite umane, non lottano contro il tempo per trovare un vaccino, non lavorano nelle forze dell’ordine. Eppure, da quando l’emergenza coronavirus è iniziata, anche loro non hanno mai staccato. Anche loro sono stressati, più esposti al rischio di contagio e spesso sottopagati. Ma non possono fermarsi, non adesso: l’Italia in quarantena ha bisogno di loro, per mantenere almeno uno dei riti della sua normalità e non cadere nel timore isterico di rimanere senza la cena a domicilio. E dei loro colleghi, che a bordo di furgoni sempre più stipati consegnano la spesa, i farmaci, un libro ordinato online.

È boom dei farmaci a domicilio

Qualche numero può aiutarci a comprendere meglio il fenomeno. «Dall’inizio dell’emergenza a oggi i volumi di vendita sono raddoppiati, con i grandi centri a guidare la crescita» calcola Valentina Pontiggia, direttrice dell’Osservatorio ecommerce del Politecnico di Milano. Non tutti i servizi di delivery, però, viaggiano di pari passo. Se l’attività di chi recapita la spesa, come Esselunga e Coop, è quintuplicata e fatica a stare dietro alla richiesta, la consegna di pasti si è ridotta di oltre il 50%.

Pesa soprattutto la chiusura degli uffici, che ha azzerato gli ordini della pausa pranzo, mentre la sera i ristoranti che hanno scelto di sfruttare l’unica chance rimasta per fatturare qualcosa, ossia i pasti a domicilio, sono meno del 10% del totale, un po’ di più solo a Milano, Roma e Bologna. L’unica azienda in controtendenza è Glovo, che non a caso è la sola a trasportare anche i farmaci, altra categoria in pieno boom. Risultato? «Nelle ultime settimane oltre un quarto dei riders abituali è rimasto a casa, scoraggiato non solo dalla riduzione del lavoro, ma anche dalle condizioni in cui viene spesso svolto» rileva Angelo Avelli, uno dei coordinatori del sindacato indipendente Deliverance.

Poche mascherine, nessuna mancia

La sicurezza dei fattorini è uno dei problemi irrisolti di questa emergenza. Le principali società del settore all’inizio si sono mosse in ordine sparso e solo il 10 marzo la loro associazione di categoria, Assodelivery, ha stabilito alcune linee guida comuni per tutelare sia il personale sia i consumatori. Tra queste, la chiusura ermetica di tutte le confezioni di cibo, l’indicazione di lasciare il cibo a 1 metro di distanza da chi lo riceve e senza richiedere la firma, per ridurre al minimo i contatti, e la fornitura di guanti, mascherine e liquidi igienizzanti ai riders.

«Peccato che in molti casi i dispositivi di sicurezza non ci siano mai arrivati» ribatte Avelli. «C’è chi ha ricevuto un buono da 25 euro e si è dovuto arrangiare, chi li ha avuti in regalo da qualche ristoratore e chi ancora sta aspettando. Sappiamo che reperire questi materiali è difficile, ma il paradosso è evidente: siamo costretti a trascorrere più tempo all’aperto e siamo i meno equipaggiati di tutti».

Assodelivery si difende ricordando di avere istituito un fondo integrativo e una polizza specifica per il coronavirus, che riconosce 350 euro in caso di contagio e 30 euro al giorno di indennità per chi è costretto al ricovero. «Palliativi che non ci fanno certo sentire più al sicuro ma al contrario scaricano tutto il rischio sul lavoratore» conclude Avelli. Sicurezza a parte, molti fattorini raccontano anche di altri problemi figli dell’emergenza: «I guadagni diminuiscono perché pochi di noi hanno un “fisso” serale indipendentemente dal numero di pasti consegnati» dice Luca. «I decreti governativi vietano di entrare nei ristoranti ma anche di assembrarsi all’esterno, costringendo tutti a vagare in attesa dell’ennesimo ordine» aggiunge Ahmed. E solo i lavoratori con partita Iva (meno del 15% totale, secondo alcune stime) potranno accedere al bonus di 600 euro predisposto dal governo per chi ha visto calare gli incassi.

Autisti sotto pressione per le troppe consegne

Chi se la passa un po’ meglio dal punto di vista della protezione sono i corrieri che portano a domicilio spesa e pacchi: i loro committenti, dalle grandi catene di supermarket ai giganti dell’e-commerce, hanno disposto misure straordinarie. «I nostri autisti, una volta raggiunto l’indirizzo, suonano e lasciano il pacco a terra, arretrando di almeno un metro dalla porta mentre il cliente ritira la merce» spiegano per esempio da Amazon Italia, leader assoluto del mercato. Il problema, in questo caso, è lo stress provocato dal moltiplicarsi delle consegne. «Prima dell’emergenza la mia media era di 30-40 colli per turno» racconta Paolo, uno di loro. «Oggi quella cifra la supero la mattina presto. Certo, c’è meno traffico, ma non posso nemmeno più concedermi un caffè».

Stesso trend, se non peggiore, per i furgoni dei supermercati, tanto che a Milano e Roma è quasi impossibile farsi recapitare una spesa prima di 7-8 giorni. La frenesia si trasmette a magazzini e centri di logistica sparsi in tutta Italia, dove mantenere gli ambienti sani e le distanze giuste diventa più difficile. Per questo motivo sempre Amazon a partire dal 22 marzo ha detto stop agli ordini su una serie di prodotti non di prima necessità. Ma secondo i sindacati di categoria non è ancora abbastanza per allentare la pressione.

I NUMERI DEI RIDERS

10.000
I riders in Italia: la metà di loro è a Roma e Milano

27 anni
L’età media

40%
Gli studenti sul totale dei riders.
Le donne sono l’11%, gli over 45 poco più del 10%

(fonte: Assodelivery)