Il settore della ristorazione è uno dei più colpiti dalla stretta del coronavirus. E nella fase 2 non riaprirà prima di giugno. Il Centro Studi della Federazione italiana pubblici esercenti ha stimato che da gennaio il comparto ha già perso 12 miliardi di euro e a fine anno potrebbe raggiungere quota 28 miliardi. Un buco nero che, nel nostro Paese, mette a rischio 50.000 imprese e 300.000 posti di lavoro.
Insieme con 26 realtà dell’imprenditoria enogastronomica, la Federazione ha presentato al governo la richiesta di misure straordinarie come la cancellazione di Imu, Tari, affitto del suolo pubblico e altre imposte fino alla fine della crisi, ma anche la sospensione del pagamento delle utenze, il prolungamento degli ammortizzatori sociali, la possibilità di lavorare per asporto e la concessione di spazi all’aperto più ampi per favorire il distanziamento sociale. Nel frattempo l’esercito dei ristoratori non sta con le mani in mano e pensa a soluzioni innovative per sopravvivere.
«Chi fa ristorazione guarda al lungo periodo: è, sì, preoccupato per la chiusura di oggi, ma soprattutto per la riapertura di domani perché i clienti faranno fatica a tornare e mancheranno i turisti» dice Dario Laurenzi, ceo della società di consulenza nel settore Laurenzi Consulting e professore di Management della ristorazione alla Luiss di Roma e alla Città del Gusto del Gambero Rosso a Roma e Napoli. «Soprattutto bisognerà capire cosa stabiliranno le normative. Per ora abbiamo intuito che i tavoli dovranno essere distanziati e che per quelli da 6 persone in su si arriverà forse a una autocertificazione: i clienti dovranno scaricare il proprietario dalla responsabilità che possano stare insieme a cena. Se però il periodo di convivenza con il virus senza vaccino durerà a lungo, alcune aziende avranno difficoltà a gestire i costi perché i ristoranti, in genere, hanno piccoli margini di guadagno».
Per sopravvivere oggi molti imprenditori tentano strade alternative come quella della consegna a domicilio dei piatti. «I dati però dicono che nel nostro Paese, dove molti cucinano, il delivery non ha registrato un vero boom» prosegue l’esperto. «Ha raccolto un incremento di curiosità piuttosto. Tra le strategie innovative che funzionano davvero, invece, ci sono i kit di ingredienti per realizzare le ricette dei ristoranti a casa».
Tutto oggi può aiutare, ma il futuro è una sfida: ci vogliono un oculato controllo di gestione, molto comfort food e approcci vincenti con i clienti. «Penso a menu usa e getta con una grafica curata, a coprimascherine colorate per i camerieri, a prezzi resi friendly anche grazie all’aiuto delle istituzioni» conclude Laurenzi. «Per fortuna andiamo verso la bella stagione. Un’idea in più? I ristoranti potrebbero consegnare i piatti agli ingressi dei parchi per permettere ai clienti di fare il pic nic all’aperto».
Qui il racconto di 3 imprenditori che non si sono mai fermati.
Con le dirette Instagram spiego ai clienti come preparare le mie ricette sottovuoto
Lorenzo Careggio 36 anni, chef di EraGoffi a Torino (eragoffi.it)
«Il delivery è la soluzione che abbiamo trovato per raggiungere i clienti durante il lockdown. Abbiamo chiamato il nuovo servizio EraWay, perché ricorda il take away e perché indica la strada che permette alla nostra cucina genuina di arrivare nelle case dei torinesi. Due i menu a disposizione: uno onnivoro e uno vegetariano. Gli ingredienti vengono consegnati cotti, ma freddi, in confezioni sottovuoto. Così non si rovescia nulla durante la consegna, il gusto rimane intatto e si può persino decidere di mangiare qualcosa oggi e qualcosa domani. Al cliente spetta rigenerarli seguendo le videoricette che carichiamo su Vimeo o le dirette Instagram che faccio alle 20 dalla cucina del ristorante. Per ora sta andando bene, la seconda settimana dall’attivazione del servizio abbiamo ricevuto 70 ordini e solo sabato scorso siamo arrivati a 35. Stiamo anche facendo rete con i produttori della zona, nelle mie box inserisco prodotti selezionati nell’ottica di ottimizzare gli spostamenti per le consegne, diminuire in parte le code nei supermercati e dare un canale di vendita in più ad agricoltori e produttori locali. Da qualche giorno portiamo la pizza, la base è quella del panificio AgriBiscotto di Pianezza, la robiola invece è del consorzio di Roccaverano che ha lanciato una richiesta di aiuto perché aveva perso il suo mercato di riferimento, la ristorazione. Il menu pizza con dessert costa 20 euro a testa, quello con i piatti della tradizione 35 euro (si possono abbinare vini e birre). Nel futuro vedo un ritorno ai prodotti del territorio per sostenere l’economia locale e perché gli approvvigionamenti saranno sempre più difficili: gli ingredienti dall’estero, per esempio, subiranno molti controlli e forse costeranno di più. Continueremo quindi con il delivery anche quando potremo finalmente riaprire».
Metterò i tavoli più distanti e lunghe tende bianche per creare atmosfera
Andrea Fontana 45 anni, proprietario e sommelier della Trattoria il Gabbiano di Corte de’ Cortesi (Cr; trattoriailgabbiano.it)
«Distanziamento sociale? In provincia le distanze esistono già, Corte de’ Cortesi ha poco più di 1.000 abitanti e portare la nostra cucina nelle case a chilometri da qui non è stato facile. Abbiamo deciso di provarci: ora suono i campanelli dei clienti e, con mascherina e guanti, consegno i nostri piatti. Lo faccio solo nei weekend perché nelle zone rurali come la nostra le persone sono abituate a cucinare tutta la settimana, quindi non consideriamo il nostro servizio essenziale, è più una coccola. In cucina ci sono mia moglie e mia sorella, io mando le newsletter ai clienti (scritte in modo diretto e informale), scelgo i vini e penso al futuro. Prima di tutto sanificare ogni giorno i locali, la cucina e gli strumenti (ma già lo facevamo), poi pensare a come disporre la sala. Ogni tavolo sarà a 2 metri dall’altro e potrà ospitare fino a 4 persone, quelle che possono arrivare con una sola auto e si suppone appartengano allo stesso nucleo familiare. Installeremo lunghe tende bianche un po’ trasparenti per creare angoli intimi e confortevoli, mettendo tra i clienti una barriera che mi pare più d’atmosfera rispetto al plexiglass di cui si legge in questi giorni. Da 90 posti passerò a 40. Per non raddoppiare i prezzi penso di distribuire il servizio su due turni e magari lavorare 7 giorni su 7. Anche i menu andranno rivisitati con meno piatti ma più varietà da una settimana all’altra. Ho una fortuna: di fronte al locale ho una grande piazza e posso triplicare lo spazio esterno per disporre i tavoli, ovviamente pagando la tassa di occupazione. Comunque il Covid ha digitalizzato l’Italia
in 40 giorni e anche io continuerò a puntare su social e sito».
Su Facebook cucino i piatti della tradizione scelti dai follower
Fabio Messina 46 anni, titolare dell’Osteria Partenope a Napoli
«Ho aperto il ristorante 6 anni fa nella stessa via dove nel 1938 mio nonno inaugurò la friggitoria Vomero e l’ho chiuso per sicurezza qualche giorno prima che ci fosse il lockdown. Come prima cosa abbiamo lanciato i dining bond, un voucher che permette a chi ci conosce di acquistare una cena che farà in futuro, a noi di mantenere vivo il contatto con i clienti e donare il 30% del costo (60 euro a coppia) all’ospedale Cotugno di Napoli. Molti americani che vivono qui e apprezzano la mia cucina hanno aderito e li ringrazio. Con altri imprenditori della ristorazione e dell’intrattenimento ho formato il gruppo “Io non apro”: vorremmo sederci a un tavolo con le istituzioni per condividere le regole della riapertura. Non è finita. Assieme a un amico del liceo, Alessandro, che oggi gestisce una pizzeria in Spagna, faccio dirette Facebook il giovedì e la domenica. Online ci confrontiamo sulla situazione nei rispettivi Paesi e cuciniamo i piatti della tradizione partenopea. Le ricette sono semplici, come quella dello Scarpariello, un primo che affonda le sue radici negli ingredienti che i poveri e i calzolai si barattavano nei quartieri spagnoli. Il pubblico mi chiede come si prepara la pasta e io mi diverto a vedere la loro meraviglia mentre cucino i piatti. Non ho mai amato il digitale ma sto cambiando idea».
Consigli utili per chi ha un locale
Fino ad aprile sono stati sospesi i versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali per titolari e dipendenti, ma entro il 31 maggio bisognerà mettersi in regola. Si può rateizzare tutto senza interessi né more. Chiedi al commercialista.
Le tasse per l’occupazione di suolo pubblico e quelle per i rifiuti purtroppo sono dovute anche per i mesi di chiusura forzata. Confcommercio e Fipe si stanno muovendo per chiedere un aiuto al governo. Verifica con gli uffici competenti del tuo Comune.
Hai fatto i conti e riaprire subito non ti conviene? Punta sul delivery. Per sapere con quali autorizzazioni rivolgiti alla Fipe che ha messo a disposizione la vetrina ristoacasa.net.
I dining bond sono un sistema utile per stimolare la ripresa: i tuoi clienti pagano adesso, con uno sconto, la consumazione che effettueranno dopo, alla riapertura. Ecco alcune piattaforme dove vendere i voucher: diningbond.com, postodelcuore.com, dinnerbond.it, saveoneseat.com.
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I.C.