Formazione a distanza, la chiamano. “Pfui”, direbbe Paperino. A distanza ddeche? Ti si scaraventa letteralmente addosso con la forza d’impatto di un tir in contromano in autostrada. Va considerato, a onor del vero, che io ho 3 figlie e quindi la cascata di file quotidiani che precipitano dal pc va moltiplicata appunto per 3, per 6 insegnanti l’una: fate un po’ voi. La quarta figlia, all’alba dei 13 anni, è abbandonata al suo destino digitale. Dovendo seguire le lezioni online in diretta coi prof ogni mattina, è blindata nella cameretta per non subire i rumori molesti delle sorelle e per svolgere i compiti pomeridiani. Praticamente, non la vedo da settimane.

Le sorelle – indenni data l’età da scuola primaria alle video lezioni – approfittano dell’anarchia scolastica per improvvisare campionati mondiali di ginnastica artistica e volley indoor (in salotto), lanciando oggetti e urla animalesche. Fino al mio immancabile, altrettanto selvaggio, richiamo: «Ragazzeee, ci sono i compiti!». Ancorata al pc, entro ed esco compulsivamente dai 3 diversi account, con relative credenziali, scaricando migliaia di file pdf, word, audio e stampando vagonate di fogli.

Mette soggezione il rosso scarlatto dei tasti “compiti ancora da svolgere” che, quando sono consegnati, si tramuta in un rassicurante blu oltremare. La tecnologia, poi, mica è una scienza esatta. Un esempio ne è il “piccolo” intoppo in cui è incorsa la piattaforma qualche giorno fa, quando è stata sottoposta ad una manutenzione straordinaria “per far migrare i dati verso un altro server”: peccato che i dati fossero migrati alla cavolo, così che ci siamo ritrovate nei nostri account i compiti di figli altrui.

Le chat delle varie classi ve le lascio immaginare: un delirio di “non vedo, non sento, non scarico, non apro, non riesco, non capisco” intervallati da improperi.

Però non è tutto negativo. Perché “di là” ci sono le maestre. Tenerissime. Sì, anche se impazzite. Sarà il prolungato distacco dai loro alunni che si è via via trasformato in un’incolmabile nostalgia. Non mi spiego in altro modo messaggi audio infiniti: tempi verbali, moltiplicazioni coi decimali, e poi Ittiti e homo erectus. Ma ci sono anche audio-barzellette, canzoni stonate e video saluti dalle immagini offuscate con tanto di domande: «Mi vedete, mi riconoscete? Sono la maestra!». Tra i mille più importanti motivi per agognare la fine di questa emergenza, ce n’è uno che accomuna mamme e corpo insegnante allo stremo in un appello: «Ridateci la formazione, quella vera: a distanza di un metro, per favore, non di più». 

(Vera Tomelleri, Verona)

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