Non c’è solo la riorganizzazione delle lezioni con la didattica a distanza caldeggiata dal Ministero dell’Istruzione: con la chiusura delle scuole a causa del coronavirus si devono fare i conti – letteralmente – anche con le rette di asili nido e mense, servizi al momento fermi in tutta Italia, ma per i quali in molti hanno già pagato. Che fare dunque? Da più parti sono arrivare richieste di rimborso. Quando se ne ha diritto?
Asili nido: “sconto coronavirus”?
In Lombardia, Veneto ed Emilia molte Amministrazioni hanno già annunciato rimborsi per le rette degli asili nido comunali, dopo la chiusura decisa dal Governo con le misure di contenimento del contagio da COVID-19. È il caso di Verona dove, per andare incontro a genitori con figli in nidi e scuole dell’infanzia comunali, la giunta ha deciso la restituzione delle quote non solo di frequenza, ma anche delle mense. Stesse indicazioni a Treviso, così come a Bologna e a Ferrara. Anche ad Asti, in Piemonte, le rette dei sei asili nido comunali, già chiusi prima delle disposizioni nazionali, non saranno addebitate alle famiglie, ma scalate dalla prima mensilità utile. In Lombardia la maggior parte dei Sindaci ha annunciato l’intenzione di ricalibrare gli importi in base ai giorni di effettiva frequenza delle strutture.
Ma cosa fare laddove non ci sono ancora indicazioni chiare? «In linea generale, per qualunque servizio o prestazione non erogati, chi ha pagato ha diritto alla restituzione delle somme, altrimenti si andrebbe incontro a una situazione di indebito arricchimento da parte di chi eroga il servizio stesso» spiega Mauro Antonelli, dell’ufficio studi dell’Unione Nazionale Consumatori.
Il caos dei privati
Se nel pubblico la maggior parte dei Comuni si è già mossa, nel settore privato la rimodulazione delle rette potrebbe non essere così “scontata”. Molte cooperative e scuole paritarie hanno già manifestato la difficoltà a poter sostenere i costi di gestione e il pagamento degli stipendi del personale, pur con la strutture chiuse. A queste spese si aggiungerebbe la restituzione delle somme già pagate. Non a caso, ad esempio, il sindaco di Ferrara dove alle famiglie che frequentano strutture pubbliche saranno rimborsate le rette mensili, ha ipotizzato un sostegno dell’Amministrazione anche per gli utenti delle strutture private.
Il caso delle mense
In questo caso le modalità di pagamento sono molto differenti da città a città. Se diversi Comuni, come in Liguria, calcolano le rette in base all’effettivo numero di pasti consumati mensilmente, nella provincia di Milano la refezione è affidata a Milano Ristorazione, che prevede un costo annuale, seppure suddiviso in quattro rette per andare incontro alle esigenze degli utenti. «Non ci sono ancora state date disposizioni specifiche dal Comune» spiegano da Milano Ristorazione. Il regolamento riportato sul sito indica che i risarcimenti sono previsti solo in caso di mancato utilizzo del servizio «per ogni periodo di 30 giorni o multipli». In questi casi, segnalati «dalla scuola di frequenza, provvederemo al rimborso parziale del rateo per i periodi non usufruiti».
«Siamo di fronte, però, a una causa di forza maggiore. Se vengono meno i servizi a prestazione che il consumatore ha pagato per impossibilità sopravvenuta, scatta il diritto alla restituzione delle somme. Diverso è il caso, ad esempio, di pagamenti forfettari per gli abbonamenti calcistici annuali. Se salta una partita, di norma non si ha diritto al rimborso perché – salvo indicazioni esplicite diverse – in linea di massima si tratta di un servizio che può prevedere una cancellazione nell’arco di una stagione sportiva. Non ha senso, invece, che si paghi un servizio mensile quando questo non è offerto in misura così consistente come per le mense nelle scuole chiuse magari tre settimane, indipendentemente da quel che provvedono le condizioni generali di contratto» conclude Antonelli.
Risarcimento danni?
«A differenza del rimborso, invece, le circostanze che si sono verificate con l’emergenza coronavirus non sono previsti risarcimenti danni. Il motivo è dato dal fatto che i servizi, che siano la frequenza all’asilo o la mensa, non sono stati sospesi per volontà di chi li eroga, bensì su disposizioni della pubblica autorità, dunque per cause di forza maggiore» chiarisce l’esperto.