«Non abbassare la guardia». Lo ha ribadito il premier, Giuseppe Conte, nel suo ultimo intervento in tv per spiegare il prolungamento delle misure di contenimento del coronavirus. Lo hanno ribadito anche le autorità regionali e la Protezione Civile, per non vanificare gli sforzi condotti finora. Ma esiste anche un altro rischio: quello di una «seconda ondata», esattamente come sta accadendo in Cina e in Corea del Sud. Intanto a complicare la situazione arriva l’annuncio dell’Organizzazione mondiale della Sanità: il virus si trasmette anche per via aerea.
Coronavirus, la “seconda ondata”
«Il rischio di una seconda ondata in Italia è concreto, anche se al momento è difficile fare previsioni perché mancano alcuni dati. In particolare non sappiamo qual è la popolazione suscettibile, definizione con cui si indicano le persone che non si sono ancora infettate. I numeri potrebbero essere di molto superiori a quelli ufficiali, 10 volte maggiori se non di più. Per questo motivo dobbiamo attenerci alla prudenza e mantenere alcune misure di contenimento anche oltre il 13 aprile, come fatto anche in Cina» spiega Carlo Signorelli, docente di Igiene e Sanità pubblica all’Università Vita-Salute San Raffaele.
Nuove restrizioni in Cina
Il direttore dell’Oms per il Pacifico occidentale, Takeshi Kasai, ha avvertito che «in Asia l’epidemia non è finita». Proprio dalla Cina, così come dalla Corea del Sud (i due paesi più colpiti prima dell’Italia), arriva la conferma. Dopo aver visto le immagini di Wuhan, primo focolaio, in cui la gente è tornata in strada, sono scattate nuove limitazioni: per due settimane è stata ordinata un’altra chiusura di bar e pub, mentre è tornata al lavoro solo parte della popolazione. Ma cosa potrebbe succedere in Italia?
I due scenari italiani
«Considerando sempre la difficoltà di fare previsioni senza sapere la quota esatta di già infettati, si possono immaginare due scenari: il primo prevede che la malattia rallenti spontaneamente in estate, con un minor contagio che invece potrebbe ripresentarsi in autunno, con il ritorno del freddo. Nel secondo caso, invece, si può ipotizzare che la malattia continui allo stesso ritmo anche con l’aumento delle temperature, dunque che una seconda ondata possa arrivare già a giugno-luglio. È quanto accade in Cina, dove si sta ripresentando dopo tre mesi» spiega il professor Signorelli, che però sottolinea le differenze: «In Cina si è registrato un secondo picco intorno al 70esimo giorno che, però, a differenza dell’Italia, arriva in una stagione ancora tutto sommato fredda. Va anche considerato che lì le misure di contenimento sono state un po’ più rigorose rispetto al nostro Paese, dove solo adesso la curva dei contagi sta flettendo».
«In entrambi gli scenari, comunque, occorre mantenere i provvedimenti restrittivi il più possibile attivi, magari riaprendo gradualmente, modulando le attività, riducendo le distanze, ma mantenendo i presidi sanitari. Insomma, dobbiamo mantenere alta la guardia e conciliando sempre le primarie esigenze sanitarie con quelle economiche e produttive» dice Signorelli.