Siamo usciti dalla fase più acuta e più drammaticamente impattante ma non siamo fuori dal tunnel della pandemia. E mentre il premier Giuseppe Conte annuncia che “Ragionevolmente proseguirà lo stato di emergenza oltre il 31 luglio”, ci sono tutte le evidenze per affermare che il virus circola ancora. Mette infatti in guardia il professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità e direttore del reparto di oncoematologia e medicina trasfusionale dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, con cui facciamo il punto sulla pandemia. Il professore guarda ai dati sui contagi di tutti i giorni e sui nuovi focolai, che man mano si susseguono a macchia di leopardo. «Anche l’Italia – dice – può essere interessata da ondate di ritorno di soggetti che magari contraggono il virus in altri paesi. Durante le vacanze e in tutto il periodo estivo dobbiamo continuare a tenere fisse in testa, come i quattro punti cardinali, quattro stelle polari: distanziamento interpersonale, evitare assembramenti, lavarsi le mani, indossare dispositivi di sicurezza, a maggior ragione negli spazi chiusi e in ogni situazione anche all’aperto in cui non si possa mantenere la distanza di almeno un metro. Serve grande responsabilità per non vanificare gli sforzi profusi e i risultati ottenuti. Serve rispetto di se stessi, rispetto degli altri e rispetto anche delle persone che hanno perso la vita».
Come si tornerà a scuola
È ancora grande l’incertezza sulle modalità di rientro a scuola dal 14 settembre – forse, chissà – e il problema principale sembra sia rappresentato in primo luogo dalla mancanza di spazi. L’ultima novità è stata il software misuratutto annunciato dalla ministra Azzolina, prima ancora c’era la valutazione del metro statico (la distanza da fermi) o dinamico (calcolato fra le persone in movimento). Ora vale l’indicazione di usare le mascherine quando ci si alza dal banco. Proviamo così ad avere una risposta chiara dal professor Locatelli. Ci dice che «In ambienti chiusi dove ci possono essere rischi di contatti troppo stretti come a scuola, la mascherina è una concreta misura di prevenzione. C’è ancora una riflessione aperta sull’uso delle mascherine specie nella scuola primaria. Sappiamo che i bimbi hanno un basso rischio di contrarre una malattia grave ma possono contagiarsi e trasmettere il virus ai soggetti più fragili del nucleo familiare, che sono poi quelli che hanno pagato il prezzo maggiore in termini di mortalità».
Quali mascherine a scuola
«Le mascherine ffp2 o ffp3 non sono certo indicate, quelle chirurgiche sono mascherine adeguate. Quelle fai da te hanno un loro ruolo, ma il loro grado di protezione dipende dal tipo di tessuto in cui sono fatte e da quanto le si lava. Difficile fare generalizzazioni».
Faremo i conti con nuovi cluster
Mentre alcuni medici affermano che non c’è più un problema clinico, in Italia la curva epidemica è tornata a crescere. «Che il virus continui a circolare non c’è il minimo dubbio» dice il professore. «In Italia tutti i giorni c’è un numero sensibilmente ridotto rispetto ai giorni di picco ma con nuovi soggetti che vengono contagiati. Per di più con alcuni cluster, come quello di Mondragone o la situazione in Veneto e prima ancora in Calabria, che dimostrano la persistenza della circolazione virale. Va però anche detto che l’individuazione di nuovi focolai epidemici va messa in conto nella storia naturale delle pandemie mentre il paese ha saputo mettere in essere sistemi di identificazione e di contenimento degli stessi. L’Italia ha svolto un ruolo pioneristico diventando un modello per gli altri. La realtà internazionale però è ben diversa: pochi dubbi che ci siano grandissimi focolai in vari paesi sudamericani dal Brasile al Cile al Perù o in Asia. Inoltre negli Usa l’epidemia è tutto fuorché sotto controllo».
Arriverà la seconda ondata come per ogni virus
Una seconda ondata non è da escludere ma «Non ne abbiamo certezza assoluta e soprattutto non sappiamo quale sarà l’entità, la magnitudine di questa seconda ondata del contagio. I mesi tardo-autunnali e invernali rappresentano una situazione di maggior rischio come per tutti i virus respiratori».
Il virus non si è indebolito
Di recente sono stati individuati ceppi diversi in Lombardia. Il più aggressivo proprio a Bergamo. «Per quanto riguarda le mutazioni credo non ci sia evidenza solida per dire che il virus si sia attenuato. Prendiamo per esempio il caso dell’imprenditore vicentino: purtroppo è finito in rianimazione mentre il soggetto serbo che lo aveva infettato è morto quindi faccio un po’ fatica a condividere l’idea che il virus sia più debole. Certo ora con l’aumentare delle conoscenze, siamo in condizioni di curare i pazienti in maniera più efficace.
Ceppi diversi non vuol dire che siano più aggressivi
Certamente ci sono ceppi diversi fra loro nella sequenza del genoma virale. «Ma dire che ci sono ceppi diversi per affermare che questi differiscono in termini di patogenicità è sbagliato. Questa informazione nessuno ce l’ha e nessuno può affermarlo al momento con precisione»
Occhio sempre al droplet
L’infettivologo Massimo Galli, direttore di Malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano, sostiene che il virus si trasmetta anche attraverso l’aria. «È possibile ma di fatto è una modalità di contagio meno importante rispetto al meccanismo delle droplet su cui si è costruito tutto il modello del distanziamento interpersonale e dell’uso delle mascherine che ha condotto all’ottenimento della flessione della curva epidemica».
Il vaccino sarà la soluzione
Il vaccino sarà la via d’uscita più probabile. «Credo che sia quasi certamente questa la strada per creare un’immunizzazione in grado di condurre all’eradicazione. La strada di identificazione, validazione e applicazione di una strategia vaccinale è assolutamente cruciale ed è in atto uno sforzo internazionale mai visto».
Quando sarà pronto il vaccino
«Personalmente credo che una disponibilità commerciale non sia pronosticabile fino ai primi mesi della primavera 2021».
Chi dovrebbe fare il vaccino
«Due tipologie di soggetti: le persone a rischio di sviluppare i quadri più gravi come gli anziani – il 95% di chi è deceduto aveva dai 60 anni in su – o con patologie concomitanti: sono loro le persone a cui somministrare preferenzialmente il vaccino. Poi gli operatori sanitari, quelli delle Rsa, della protezione civile e delle forze dell’ordine. Soggetti considerati a rischio per la categoria professionale alla quale appartengono e individui fragili, anziani e portatori di patologia concomitante».