Giovedì scorso, appena l’università in cui io e il mio ragazzo lavoriamo ha annunciato che avrebbe spostato tutta la didattica online nel giro di due settimane, la nostra coinquilina, che studia nella stessa università, è stata richiamata a casa in Germania dal padre, preoccupato per una possibile chiusura dei confini. Quindi ho guadagnato una stanza in più, dove mi sono costruita un piccolo studio per lavorare da casa. Quel giorno ho trafugato uno schermo, una tastiera, un mouse e un’enorme stampante laser da uno degli uffici del mio dipartimento, la mia capa mi ha chiamato un Uber e ho portato tutto a casa. L’idea era che noi, personale amministrativo, avremmo lavorato da casa tre giorni alla settimana e saremmo andate in ufficio i restanti due. Il governo inglese fino a ieri ha continuato a sostenere che le scuole e le università dovessero restare aperte, nonostante la curva dei casi in UK sia praticamente la stessa di Italia, Spagna e Francia, ma un paio di settimane in ritardo. Questo significava che se i professori potevano lavorare da remoto e condividere lezioni e seminari online, personale amministrativo, receptionist, addetti alle pulizie, lavoratori di bar e ristoranti dovevano andare a lavorare, facendosi almeno due ore di mezzi pubblici al giorno per tenere aperto il campus e i suoi servizi. Un sacco di studenti internazionali sono tornati a casa in fretta e furia, c’è pochissima gente in giro e ci sono stati almeno 2 casi di COVID-19 nel campus, che ha continuato a rimanere aperto.
Da organizzatrice di eventi (tutti cancellati) mi sono trasformata in organizzatrice del trasloco della didattica dal campus ai sistemi virtuali dell’università. Io e il mio fidanzato ci siamo resi conto che ciò che accadeva in Italia sarebbe successo anche a Londra e che eravamo ancora in tempo per organizzarci. Ma quando abbiamo cominciato ad approcciare i nostri manager e colleghi, suggerendo che forse era il caso di mettere in piedi un piano B per gestire il nostro lavoro da casa, abbiamo ricevuto occhiate strane e qualche battutina. L’Italia viene percepita da molti inglesi come un paese in via di sviluppo, perciò questa crisi viene vista come una cosa che non può succedere in un paese “sviluppato” come il Regno Unito, che vanta un sistema sanitario con i fiocchi (secondo loro). In più il governo inglese ha attivato prima un assurdo e distopico piano basato sull’ottenere una presunta immunità di gregge, lasciando che il maggior numero di persone possibile prenda il virus, senza nessun riguardo per immunodepressi, anziani e malati, per poi ripensarci e suggerire al popolo di evitare interazioni sociali, ma senza chiudere locali e annullare eventi. I medici non hanno abbastanza mascherine e guanti per trattare i malati, per non parlare di respiratori, né test per assicurarsi che i medici e gli infermieri non siano positivi al virus.
La gente è confusa, molti pensano che il resto dell’Europa stia reagendo in maniera esagerata e che qui andrà tutto bene, per poi correre al supermercato a fare incetta di carta igienica, gel disinfettante e sapone per le mani, mentre noi piangiamo la mancanza di un bidet, maledetti barbari. Cercare di spiegare a colleghi e capi che la situazione italiana (e francese, e spagnola!) arriverà anche qua è stata difficile. Il mio dipartimento ha finalmente deciso di chiudere, e noi amministratori lavoriamo da casa. Però il mio ragazzo, che per lavoro aiuta gli studenti a scrivere saggi, prendere appunti, organizzare la tesi, sta ancora lottando con i suoi datori di lavoro perché l’ufficio chiuda al pubblico e si spostino tutti i meeting su Zoom. È incredibilmente frustrante, ci sentiamo come i matti del villaggio che gridano al lupo, mentre sappiamo che il lupo c’è e sta per arrivare. Siamo arrabbiati e delusi. Non siamo più tanto sicuri di voler restare a Londra. Adoriamo questa città, e ce l’abbiamo messa tutta per scappare da Mantova. Ma la risposta del governo italiano, per quanto ritardataria, goffa e problematica, è chiara: non si lascia indietro nessuno. Abbiamo fatto errori ma li stiamo correggendo, e metteremo a disposizione i nostri dati per la comunità scientifica e politica mondiale, in modo che altri non facciano gli errori dell’Italia. La risposta inglese? Morirà un sacco di gente, ma keep calm and carry on. Fuori da casa nostra, la vita continua come al solito, però la gente è ansiosa, diffidente, arrabbiata. Noi continuiamo la nostra self-isolation volontaria. Facciamo la spesa online o nei negozi al mattino presto, cuciniamo un sacco (ieri il mio ragazzo ha cucinato tagliatelle fatte in casa con pesto all’aglio ursino), non usciamo, guardiamo i pruni e i mandorli in fiori dalla finestra. Per fortuna non c’è il sole.
(Lucia Pedrioli)