La Regione Campania ha annunciato l’acquisto di 1 milione di test veloci che inizialmente sembravano destinati alla vendita in farmacia. Poi è arrivato il chiarimento: i kit serviranno inizialmente al personale sanitario. Stessa linea anche in Toscana, dove sono previste analisi di massa su 500mila persone, tramite semplici e veloci prelievi del sangue.
I test veloci non sono tamponi
Di fronte a quella che sembra una vera e propria corsa ai test rapidi gli esperti avvertono: «Non si tratta di tamponi: i kit veloci non hanno valore diagnostico, non servono dunque a individuare soggetti contagiosi. Si tratta di test per la ricerca anticorpale, che si fa sul sangue, e serve per verificare se una persona ha sviluppato anticorpi contro il virus» spiega Carlo Federico Perno, ordinario di Oncologia ed emato-oncologia all’Università degli Studi di Milano e Direttore del dipartimento di Medicina di laboratorio all’Ospedale Niguarda di Milano. «Hanno un importante valore dal punto di vista epidemiologico, perché permettono di verificare in quanti siano venuti a contatto con il virus, ma non dal punto di vista clinico. In pratica non ci dicono se siamo in presenza di un soggetto con un’infezione in corso» aggiunge Perno. I test veloci con i quali si sta procedendo in Toscana e Campania, quindi, non sono tamponi, ma possono servire a effettuare un’analisi sui soggetti asintomatici sui quali, in caso di positività, si può procedere con un tampone che indichi se si è guariti o se si può essere ancora fonte di contagio.
I test veloci rivelano il contatto col virus, non la contagiosità della persona
«Perché questi test, che sono effettuati anche per malattie come morbillo, rosolia o parotite, abbiano validità occorre intanto che si rispetti una tempistica esatta: devono essere passate almeno 2/3 settimane dal contatto con il virus, perché l’organismo impiega almeno 15 giorni a sviluppare gli anticorpi. Se si fa troppo presto si rischia un falso negativo» spiega l’esperto, che aggiunge: «Se danno esito positivo, inoltre, significa solo che il soggetto è entrato in contatto con il virus, non che sia ammalato. Un domani ci servirà a scoprire la reale circolazione del virus, perché facendo i tamponi per la ricerca del virus solo alle persone che presentano sintomi non abbiamo un’idea chiara di quanto possa essersi diffuso tra la popolazione. Mancano i riscontri degli asintomatici» spiega l’esperto.
I tamponi rivelano invece gli infetti asintomatici
Ma allora non sarebbe più utile aumentare la quantità dei tamponi, come si sta facendo in Veneto? «Teoricamente estendendo i tamponi a tutta la popolazione si potrebbe isolare chi, essendo infetto ma magari asintomatico, è in grado di trasmettere il virus ad altri. Ma occorre considerare che in Lombardia si trovano i 2/3 di tutti i pazienti italiani e circa la metà di quelli europei: è un’emergenza, dobbiamo concentrarci sulle persone malate, curandole, siamo in guerra contro il virus» dice Perno.
«Non va neppure dimenticato che il tampone risulta positivo solo dopo 4/5 giorni dall’inizio dell’infezione. Se viene effettuato nel momento sbagliato potrebbe dare un falso negativo. La tempistica è cruciale: piuttosto che fare male un’analisi, è meglio non farla» spiega il Direttore del dipartimento di Medicina di laboratorio all’Ospedale Niguarda di Milano.
Il test Drive-thru di Bologna
A Bologna, invece, sono scattati i test effettuati direttamente in auto, come quelli in Australia e Corea del Sud. Si tratta di una sperimentazione appena avviata e prevede un vero e proprio tampone (non analisi sugli anticorpi) su persone che abbiano avuto contatti stretti (o il sospetto di contatti) con soggetti positivi, per verificare se si siano a loro volta infettate. Possono essere molto utili anche per gli operatori sanitari o contagiati risultati guariti dopo un periodo di isolamento, che così possono verificare con un tampone di essere diventati negativi. O ancora sono importanti per soggetti asintomatici, che possono essere intercettati in modo più semplice, evitando che diventino veicolo di trasmissione inconsapevole. L’obiettivo della Asl, dunque, è di aumentare potenzialmente il numero di tamponi, evitando l’accesso negli ospedali.
«L’idea è interessante se presuppone di prendere le generalità delle persone sottoposte a tampone, per poi richiamarle in caso di positività, per segnalare l’esigenza di isolamento. Richiederebbe, infatti, un certo lasso di tempo prima di conoscere l’esito dell’analisi. Al momento servono almeno tre ore, anche se stanno per arrivare test rapidi, che comunque necessitano di circa un’ora» osserva il professor Perno, che conclude: «In questo momento non ci sono cose giuste o sbagliate, ci sono tentativi che hanno una maggiore o minore razionalità a seconda delle circostanze nelle quali ci si trova: in Lombardia stiamo operando una medicina di guerra, dobbiamo occuparci dei malati, in altri posti si possono anche seguire sperimentazioni che possono rivelarsi utili».