Con il numero di contagi, ricoveri in terapia intensiva e decessi in calo, si inizia a pensare alla cosiddetta «fase 2», quella del rientro al lavoro e del ritorno alla normalità. In Germania, ad esempio, si ipotizza un “patentino” che certifichi che una persona ha già sviluppato la malattia, dunque è immune al coronavirus. Ma è uno strumento efficace? E cosa si sa al momento dell’immunizzazione al virus?
Quando si diventa immuni
«È molto difficile poter dare risposte certe, ma possiamo ipotizzare che anche il Sars-Cov2 si comporti come gli altri virus e dunque un soggetto che sia stato infettato rimanga, una volta guarito, in qualche modo protetto sviluppando una forma di immunità» spiega l’epidemiologo Pierluigi Lopalco, docente di Igiene all’università di Pisa e coordinatore scientifico della task force della Regione Puglia per l’emergenza COVID-19.
Per quanto tempo si è protetti?
Il dubbio maggiore, però, riguarda il periodo di copertura che si sviluppa dopo la malattia. «Al momento possiamo basarci sui dati che ci arrivano dalla Cina, che ci dicono che l’immunità dovrebbe durare almeno 6/12 mesi. Ovviamente, però, non si tratta di una certezza» spiega Lopalco. «Essendo un virus nuovo, sul Sars-Cov2 non abbiamo certezze e facciamo confronti con gli altri coronavirus, pur tenendo presente che ne esistono diversi sottotipi che possono comportarsi in maniera differente. Alcune patologie infettive danno immunità a vita, altre come la Sars ha una copertura di circa un anno, che secondo alcuni studi può arrivare fino a 3 o 4» spiega il virologo Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’Istituto Galeazzi di Milano.
Come si rileva l’immunità
Per capire se si è sviluppata un’immunità occorre fare i test sierologici, che vanno a rintracciare la presenza delle immunoglobuline, ossia degli anticorpi, ma ne esistono di due tipi: «Il primo è costituito dalle IgM, le immunoglobuline precoci, che rappresentano la prima risposta dell’organismo e compaiono intorno al 7° giorno dal contagio per scomparire intorno al 20esimo. Sono invece le IgG a darci la misura dell’immunità a lungo termine: queste, secondo gli studi condotti finora, si presentano dopo 14 giorni dall’infezione e si mantengono nel tempo» spiega Pregliasco. «Come per altre immunità, però, subiscono anch’esse un abbassamento e la protezione man mano diminuisce. Il problema ora è quello di capire quanto a lungo rimangono attive» conclude il virologo.
Quanto sopravvivono gli anticorpi
«I meccanismi alla base delle risposte immunitarie sono piuttosto complessi da capire. Già tra qualche settimana potremo disporre di dati sufficienti a fare ipotesi e soprattutto a mettere a punto uno standard che riguardi, ad esempio, la quantità di anticorpi necessaria a dirci quando c’è immunità. Al momento possiamo affermare con buona sicurezza che chi ha sviluppato la malattia non la riprenderà nei prossimi mesi. È quanto ci confermano le analisi condotte anche in Cina, a Wuhan. Ma restano dei dubbi: se facciamo un test sierologico ed è positivo, dunque ci sono anticorpi, possiamo davvero dire che una persona abbia una patente da immune?» si chiede il professor Lopalco.
Test sierologici: ma a carico di chi?
In Germania si ipotizza proprio una sorta di patentino per il rientro al lavoro, che certifichi che una persona sia guarita e non più contagiosa. Ma è una misura affidabile? «Trovo che sia una via non facilmente percorribile in termini pratici: intanto il test anticorpale andrebbe ripetuto a distanza di una quindicina di giorni dal primo, per evitare falsi negativi o positivi. Poi ci sarebbe una difficoltà legata ai costi e ai numeri: testare una popolazione intera è impensabile e chi si farebbe carico degli oneri, il Servizio Sanitario Nazionale o le singole aziende?» spiega Pregliasco.
Esiste poi un aspetto legato al reale numero di persone contagiate: «Il virus, nonostante quanto si possa pensare ascoltando i bollettini, non ha circolato così tanto, fatta esclusione delle zone focolaio come Lodi, Piacenza, Vo’ Euganeo o alcune province lombarde più colpite. Non mi aspetterei, insomma, una quota altissima di persone con anticorpi: penso che se dovessimo basarci su un patentino del genere non si riempirebbe neanche un decimo delle fabbriche» dice l’epidemiologo Lopalco.
Che soluzione?
«Al momento l’unica strada percorribile immaginando il rientro al lavoro e alla normalità penso che sia quella che passa da una complessa strategia di protezione. In altre parole misure e livelli di sicurezza elevati, dati dall’uso di mascherine, distanziamenti sociali anche sui posti di lavoro e in tutti i luoghi pubblici e lavaggio frequente e accurato delle mani» conclude Lopalco.