Tra i tanti cambiamenti che il coronavirus ha introdotto nelle nostre vite, c’è sicuramente il modo in cui sta modificando gli spazi comuni, e in particolare i luoghi di lavoro. Se nel mondo si cercano ancora soluzioni per riaprire in sicurezza cinema, teatri, stadi e in genere i grandi luoghi di aggregazione sociale, gli uffici hanno già iniziato a cambiare. Niente più sale riunioni affollate, open space o assembramenti di fronte alla macchinetta del caffè: l’ufficio, nell’epoca post Covid, potrebbe ritornare ai vecchi cubicoli, almeno fino al contenimento della fase più acuta dell’emergenza sanitaria. Ecco alcune delle soluzioni che si prospettano all’orizzonte per i lavoratori e che, in molti casi, sono già diventate realtà.
Posizioni distanziate e giornate alterne tra colleghi
Secondo gli esperti intervistati dalla Bbc, nell’immediato non ci saranno troppi stravolgimenti. D’altronde il cambiamento più grande è già avvenuto, ovvero la massa di lavoratori che, negli ultimi tre mesi, si è riversata nelle proprie case e ha lavorato da lì. Chi torna in ufficio ora sperimenterà alcune, semplici ma radicali, differenze. In molte aziende, le scrivanie sono state distanziate e, dove è stato possibile, sono stati montati dei divisori per separare le postazioni.
Un’altra nuova abitudine dell’era Covid è quella delle presenze controllate: difficilmente gli uffici che solitamente sono affollati faranno ritornare tutti nello stesso momento. È più probabile si torni a turni, mantenendo un numero molto limitato di persone nello stesso spazio e facendo a rotazione tra i colleghi. Se il distanziamento è garantito, si potrà lavorare senza la mascherina, ma le aziende ora si attrezzano per garantire il gel disinfettante e incentivare il lavaggio della mani. «Mi piace l’idea che lavarsi le mani prima di entrare in un luogo pubblico diventi una sorta di nuovo rituale», ha detto alla Bbc Brent Capron, Interior Designer Director dello studio Perkins & Will di New York.
Uffici “contactless” e sanificati come ospedali
Per quanto riguarda il futuro, invece, l’esperienza della pandemia apporterà dei cambiamenti più profondi nel ridisegnare lo spazio condiviso. Intanto gli esperti prevedono che sempre meno attività richiederanno l’utilizzo diretto delle nostre mani: come in altri settori, il virus darà infatti la spinta definitiva verso una più ampia e diffusa digitalizzazione. Non è difficile immaginare che, per gestire gli spazi comuni, ci verrà richiesto sempre meno di schiacciare bottoni o toccare superfici: dalla macchinetta del caffè all’entrata in ufficio, si potrebbe gestire tutto da remoto tramite un’app che le aziende si preoccuperanno di sviluppare per i propri dipendenti.
Nuovi sistemi di sanificazione verranno installati, sia a livello di areazione che di rivestimenti: ci sono già dei tappeti che sono in grado di disinfettare la suola delle scarpe e sono stati installati nelle aziende più all’avanguardia (in Italia da Ferrari). La questione del rilevamento della temperatura all’ingresso, invece, è più delicata, perché solleva questioni di privacy. Certamente la pandemia ha reso del tutto inaccettabile socialmente l’idea di recarsi a lavoro ammalati, perché abbiamo sperimentato le conseguenze disastrose del contagio. Nel lungo periodo, si prevede che questa nuova consapevolezza della società sulle malattie contagiose «potrebbe inaugurare un nuovo tipo di ufficio», che per molti versi sarà più simile a un ospedale che a un open space come quelli cui eravamo abituati.
I problemi dello smart working
Gran parte del lavoro futuro potrà allora essere svolto da casa, attraverso le piattaforme digitali come Zoom che tutti, in questi mesi, abbiamo imparato a utilizzare. Ed è perciò probabile che anche lo spazio nelle nostre case si modificherà di conseguenza, prevedendo nuovamente uno “studio” dove sia possibile isolarsi per lavorare, fare videochiamate, studiare. Allo stesso tempo, sarà impossibile sostituire del tutto il confronto reale nelle dinamiche lavorative. Un altro fattore da tenere in considerazione, poi, è la difficoltà di molti nel lavorare da casa: come scriveva Barbara Rachetti qui su Donna Moderna, infatti, in troppi casi, soprattutto in Italia, lo smart working non è davvero “smart”, tra limiti tecnologici e incombenze familiari. Un problema che ci portiamo anche nell’epoca post virus.