Previste dal decreto legge n.14 del 9 marzo, arriva sul territorio le prime USCA, le Unità Speciali di Continuità Assistenziale. Sono formate medici, soprattutto giovani, che si occupano di fornire assistenza durante lisolamento domiciliare di chi è positivo al coronavirus e hanno lo scopo di alleggerire il carico di lavoro di medici di famiglia e pediatri, riducendo anche i loro rischi: «Lavoreranno in stretto rapporto proprio con i medici di base, sono anche loro esperti di medicina generale, ma potranno intervenire con le giuste dotazioni di sicurezza, in modo da impedire che nuovi colleghi si ammalino e possano a loro volta contagiare altri pazienti» spiega Giacomo Caudo, presidente della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FMMG), che rappresenta i medici di famiglia.

Un sostegno per i medici di base, bersagliati dal contagio

Sono oltre 6.200 i medici contagiati, più di 40 le vittime tra i camici bianchi (al 27 marzo), sia tra coloro che lavorano in ospedali, pronto soccorso e case di cura, sia tra i medici curanti, che rappresentano le prima figure alle quali ci si rivolge in caso di bisogno; sono i medici di famiglia, quelli che ci conoscono meglio di chiunque altro, ai quali chiedere consigli in caso di dubbi. «Ma sono anche i più esposti: a differenza dei colleghi che lavorano in ospedali e in strutture sanitarie, non hanno i dispositivi di protezione individuale adatti e spesso sono rimasti esposti, soprattutto nella prima fase dell’emergenza. Questo spiega l’alto numero di contagiati e purtroppo anche di decessi tra i colleghi. Da qui l’idea di supportarli con unità speciali che intervengano a domicilio» spiega Caudo.

Cosa fanno le USCA

Le équipe speciali intervengono su indicazione del medico di famiglia o del pediatra, dopo che questi abbiano fatto un’attività di triage telefonico, per evitare che pazienti con sospetto contagio, con sintomi o senza, si rechino negli ambulatori medici, in guardia medica o presso i Pronto Soccorso, rischiando di contagiare anche altre persone o gli operatori sanitari. «Devono essere dotate di tutti i mezzi di protezione, come guanti, mascherine, ecc. Visitano a domicilio i pazienti e sono in stretto contatto con il medico di famiglia, con il quale possono fare un consulto telefonico o anche una videochiamata. Dopo l’intervento e a seconda dei casi potranno decidere se optare per il ricovero in ospedale o se proseguire con la gestione domiciliare» spiega il presidente della FMMG.


Come sono composte le équipe

«Sono equipe formate da un medico di cosiddetta continuità assistenziale, un infermiere e un autista. In pratica ne fanno parte quelli più noti come medici di guardia e oggi sono diventati di continuità assistenziale perché non lavorano più emergenza quando chiudono gli studi medici (quindi dalle 20 alle 8, nei prefestivi e festivi), bensì a stretto contatto con i medici di base. Nelle USCA con loro è previsto che intervengano anche un infermiere e un autista con una vettura della Asl, che poi viene sanificata a fine turno» spiega il presidente della FIMMG.

Medici giovani in prima linea

Alcune regioni si sono già attivate, come ad esempio l’Abruzzo, dove il Governatore Marco Marsilio ha firmato un’ordinanza che prevede un team ogni 50mila abitanti. «In Sicilia ne sono state predisposte 13 solo nella provincia di Messina. Ovviamente molto dipende dalle situazioni locali e dalle disponibilità di Regione e Asl. L’idea è quella di impiegare soprattutto personale già in servizio come guardie mediche, ma anche medici in graduatorie o che stanno completando il corso di formazione triennale in medicina generale, dunque specializzandi. Questo non significa che siano meno esperti: si dà priorità ai giovani anche perché questa infezione ha dimostrato di colpire maggiormente il personale più anziano e la categoria dei medici di famiglia ha un’età media piuttosto elevata» spiega Caudo.

Indispensabili al Sud per evitare il collasso degli ospedali

Molto preziose nelle regioni del Nord Italia, dove l’emergenza è maggiore, le USCA sono ritenute fondamentali però al Sud: «Alleviano sicuramente il lavoro nei Pronto Soccorso, ma soprattutto hanno lo scopo di ridurre i ricoveri in ospedale, che soprattutto nelle regioni del Sud non sono in grado di reggere un afflusso e di gestire situazioni come quelle che si stanno vivendo ad esempio in Lombardia» conclude Giacomo Caudo.