Il mal di pancia è al primo posto. Seguono: mal di testa, nausea e vomito. Sono i classici sintomi del mal di scuola. Una sindrome diffusa che, secondo una ricerca del dipartimento di psicologia pediatrica dell’Università di Colonia, colpisce in media uno-due alunni per classe (nel nostro Paese si parla di circa due milioni di studenti dai 6 ai 18 anni). Ma i numeri non sono precisi perché uno studente della primaria su due, almeno una volta l’anno, ha dichiarato di “sentirsi male” al solo pensiero di entrare in classe.
Non confonderla con la pigrizia
«Un episodio non è significativo: il problema si pone quando i malesseri (e le assenze) diventano ricorrenti» spiega Paolo Ragusa, pedagogista, formatore e autore di “Il potere del sì” (Bur). «In genere si manifestano con particolare intensità nei primi mesi del cambio di un ciclo scolastico quando, per esempio, si passa dall’asilo alle elementari o dalle elementari alle medie. Ma succede anche dopo una convalescenza o al termine delle vacanze». Bollarla come semplice pigrizia, però, può essere un errore. «Il mal di scuola rientra tra quelle sindromi che possono derivare da comportamenti educativi poco adeguati» continua l’esperto. «Ecco perché parliamo di “malattia dell’educazione”. Niente di irreversibile: basta correggere il tiro. E, cioè, fermarsi e fare un “check up” pedagogico, chiedersi cosa si sta facendo e cosa invece non sta funzionando.
Cerca di trasmettere la giusta tranquillità
Se mamma e papà sono genitori emotivi, apprensivi, troppo vicini ai figli, per esempio, non possono sostenere bene l’esperienza scolastica né favorire l’autonomia del figlio perché hanno messo al primo posto la sua felicità. Chissà quanti di loro hanno detto frasi tipo: «L’insegnante è severissima!»; «Che tipi sono i compagni?»; «Non daranno troppi compiti a casa?». Ma, così, è come se considerassero gli altri dei potenziali avversari. E, più o meno apertamente, preferissero tenere agganciato il bambino a una comfort zone regressiva da cui lui farà sempre più fatica a uscire». Il malessere è anche il segno che il bambino è in balia delle proprie emozioni. «La scuola è impegno, le relazioni con i compagni richiedono lo sforzo di uscire da se stessi, il gruppo ti mette alla prova, mentre a casa ci si sente protetti e coccolati: perché fare la fatica di entrare in classe se anche a mamma e papà va bene così?» continua Paolo Ragusa.
Parla con lui di quello che sente
«Un bambino disorientato, però, non è felice. Semplicemente, non sa cosa fare ed esprime questa confusione sotto forma di ansia che si traduce in malessere» spiega Ragusa. «Il genitore deve aiutare il figlio ad affrontare la scuola anche con qualche disagio. Certo, conta anche l’esempio in famiglia: se i grandi non vanno al lavoro al primo malessere, perdono credibilità e diventano un modello comportamentale difficile da sradicare. Occorre invece trasmettere il messaggio che è normale essere intimoriti dalle sfide: le prime interrogazioni davanti ai compagni, i compiti in classe, un compagno prepotente. Ma le sfide non si vincono con la fuga. E questo vale anche per gli adolescenti» commenta Elena Urso, psicopedagogista (consulenzafamiliare.com) e autrice, con Elisabetta Rossini di “I bambini devono fare i bambini” (Bur).
Non dare troppo peso ai voti
«Per superare il problema occorre anche migliorare la relazione attraverso una buona comunicazione» continua Elena Urso. «Abituare i bambini a raccontare cosa succede a scuola può stemperare eventuali difficoltà. Se il problema, per esempio, sono i compagni, invitarli per una merenda aiuta a modificare le dinamiche. E, ultimo ma non meno importante consiglio: non dare troppa importanza ai voti. La scuola è un percorso in cui i bambini via via acquisiscono metodo e capacità, se non arrivano voti eccellenti, va bene lo stesso».
Raccontagli le tue esperienze di studio
Il consiglio per mamma e papà è di spezzare questo meccanismo incoraggiando l’esperienza scolastica, che è sempre un valore. Parlarne con entusiasmo, condividere i propri ricordi di studenti e, allo stesso tempo, non tenere a casa il piccolo al primo mal di pancia. «Se i genitori, anche in modo implicito, trasmettono l’idea che andare a scuola sia un obbligo, un dovere, non sono certo molto motivanti» conclude Paolo Ragusa. «Deve essere chiaro anche che mamma e papà non sminuiscono gli insegnanti, semmai cercano una coesione educativa con loro, non si sostituiscono a lui nel fare i compiti e favoriscono la relazione con i compagni creando occasioni di incontro al di fuori dell’orario delle lezioni».
Non cedere (neanche una volta)
«Su questo bisogna diventare prevedibili: il figlio deve sapere che a scuola si va. Punto. Senza possibilità di negoziazione» conclude Ragusa. «Un bambino che dice di non sentirsi bene il lunedì mattina, semplicemente ci sta provando: se ottiene il risultato, è sicuro che lo rifarà. Di fronte a questi malesseri, dunque, serve una dolce fermezza» chiude la psicopedagogista Elena Urso.