La maggior parte dei chili che abbiamo preso durante il lockdown sono “emochili” (emo-weight, in inglese). Secondo uno studio dell’associazione di psicologi “Donne e qualità della vita”, un’italiana su due è ingrassata ma non per effetto della fame. «Il 22%» spiega Serenella Salomoni, presidente dell’associazione «ammette di aver aperto frigo e dispensa molto più spesso del solito per ansia, il 17% per noia, il 13% dopo aver visto sui social immagini da far venire l’acquolina in bocca. Altre emozioni che ci hanno portato a mangiare sono state frustrazione, paura e angoscia». Ma come funziona la fame emotiva?
Le emozioni scomode scatenano la fame
Rimugini su un problema e ti ritrovi davanti alla dispensa, con l’unico impulso di mettere qualcosa sotto i denti. Hai appena finito di cenare e il pensiero si concentra sulla vaschetta di gelato che c’è in freezer. Da noi si chiama fame nervosa, gli inglesi più correttamente la chiamano emotional eating (fame emotiva), perché il nervosismo non è l’unico stato d’animo che la attiva. Ci assale quando sul cibo sfoghiamo quelle emozioni “scomode”(stress, ansia, noia, frustrazione, rabbia, inadeguatezza) che non riusciamo a gestire. Concedersi del cioccolato in una giornata difficile non vuol dire avere un disturbo alimentare. Però è meglio intervenire quando non si tratta di una piccola indulgenza ma il cibo compensa uno stato d’animo, diventando un’abitudine pericolosa per linea, corpo e psiche.
Perché le emozioni attivano il bisogno di mangiare
La ricerca di un conforto di questo tipo è scritta nel nostro dna: «È un meccanismo ancestrale» spiega la dietista Caterina Cellai che si imprime nel cervello dai primi istanti di vita. Quando, da neonati piangiamo, la mamma ci tranquillizza con il latte, ricco di zuccheri, grassi e triptofano, un aminoacido precursore della serotonina (l’ormone della felicità) che ci placa e ci fa sentire accuditi. Da quel momento assoceremo sempre il cibo, soprattutto quello dolce e grasso, alla calma. E, da adulti, quando ci arrabbieremo o annoieremo, saremo portati a cercarlo». Inoltre, l’innalzamento improvviso del livello di zuccheri nel sangue genera una sensazione immediata di benessere. Il cervello lo sa e, quando è sotto stress, li richiede. Ma presto il livello ridiscende e si ma- nifesterà il desiderio di altri zuccheri, accendendo una spirale pericolosa.
Quali sono i segnali della fame emotiva
A differenza di quella fisiologica, che arriva gradualmente quando siamo digiuni da troppo tempo (per esempio a pranzo se non mangiamo da colazione) e passa con il soddisfacimento del bisogno, la fame nervosa è improvvisa, irrefrenabile. «Arriva come un tornado, anche se abbiamo appena finito di cenare» spiega Caterina Cellai. «E pretende una soddisfazione immediata con determinati cibi. Il cosiddetto comfort food, infatti, non è mai rappresentato da un gambo di sedano o da un finocchio, ma da a un cibo dolce o grasso e una ragione c’è: i grassi sono palatabili, danno cioè una sensazione di benessere come gli zuccheri». Del resto, ce ne siamo accorte in quarantena, quando anche la spesa è cambiata in base al nostro umore: dopo avere passato le prime settimane a fare scorte di cibi di prima necessità, abbiamo impastato lievito, farina e zucchero per preparare cibi ad alto tasso di carboidrati. E poi ci siamo gettati su gelati, cioccolata, patatine, affettati e alcol (fonte Nielsen).
«La fame nervosa ha poi un’altra caratteristica: agisce in sottofondo» continua Caterina Cellai. «In pratica, quasi senza accorgersene e in preda alla fame si finisce un pacco di biscotti e questo succede perché non si attiva il meccanismo della sazietà, che ci porta a smettere quando lo stomaco è pieno. Dopo, quello che si prova non è soddisfazione, ma senso di colpa».
Come evitare la fame nervosa
Con alcune piccole strategie, iniziando dalla spesa: l’esperta raccomanda di non farla quando sei affamata e di non acquistare mai i cibi a cui non sai resistere. Riempi invece la dispensa di alternative sane. Se, per esempio, hai sempre voglia di sgranocchiare dopo cena, prepara vaschette di frutta già tagliata a pezzetti e aggiungi due quadratini di fondente; se invece la fame nervosa ti spinge ad affondare il cucchiaio in vasetti di creme spalmabili o vaschette di gelato, riempi il frigo di yogurt greco (pochi zuccheri ma tante proteine), semi e frutta secca. Inoltre, non saltare mai i pasti e non farti mancare i carboidrati complessi (pane, pasta, riso) che, aumentando il senso di sazietà, contribuiscono ad abbassare la voglia di comfort food. Aiutano anche due altri comportamenti: bere più liquidi durante il giorno (chi soffre di fame nervosa beve pochissimo) e ridurre i caffè a stomaco vuoto, che accelerano lo svuotamento gastrico.
Questa “fame” però è indice di un bisogno di nutrimento emotivo, di calma, di soddisfazione dei bisogni profondi che stiamo ignorando. Accoglierli e decifrarli è un processo ineludibile: «Scriviamo sul diario cosa abbiamo provato quando è arrivato l’impulso, qual era l’emozione che ci muoveva e coloriamo sul calendario i giorni in cui ci è successo, per capire quanto frequentemente accade, dove eravamo (al lavoro? a casa?) e cosa lo ha scatenato. Se si ripete, parliamone con uno psicoterapeuta, che ci aiuterà ad andare alla radice del nostro bisogno inespresso. Se gli diamo voce, non avremo più bisogno di zittirlo con il cibo.