Il primo ad avanzare l’ipotesi, supportato da un’apposita ricerca, è stato l’Istituto per gli Studi di politica Internazionale (ISPI), secondo cui un lockdown per fasce d’età potrebbe salvare la vita dal 50% al 98% di coloro che altrimenti sarebbero fortemente a rischio. Si tratta degli over 60, tra i quali si registra il maggior numero di vittime per Covid. Ma anche uno studio del Centro Nazionale delle ricerche conferma la necessità di un intervento selettivo, che preveda chiusure locali e “generazionali”, con particolare riguardo alla popolazione più anziana. Risale allo scorso aprile quando un gruppo di scienziati italiani coordinati da Antonio Scala, presidente della Big Data in Health Society e ricercatore del CNR, aveva firmato un articolo pubblicato sulla rivista Natura Scientific Reports, lo scorso agosto. Ecco cosa sostengono i ricercatori.
Isolare gli over 70 per limitare i decessi
La premessa del report dell’ISPI parte dal numero di vittime della prima ondata di pandemia: «L’82% dei deceduti per Covid aveva più di 70 anni e il 94% ne aveva più di 60. La letalità plausibile del virus cresce esponenzialmente con l’età, uccidendo meno di 5 persone su 10mila nella fascia d’età 30-39 anni, ma oltre 7 persone ogni 100 tra gli ultra ottantenni». Da qui la tesi secondo cui limitando il lockdown agli ultra 80enni si potrebbe «dimezzare la mortalità diretta del virus. Se poi riuscissimo a isolare efficacemente gli ultra-sessantenni, la mortalità sarebbe dieci volte inferiore» spiegano i ricercatori dell’ISPI.
Pur considerando un tasso di contagio cresciuto anche tra la popolazione più giovane, registrato a fine estate, secondo l’analisi la mortalità scenderebbe comunque da 460mila (in caso di non isolamento) a 120mila se si isolassero gli over 70, con una riduzione del 74%. Se poi la chiusura riguardasse anche gli over 60 si arriverebbe a -91% di decessi diretti a causa del Covid. Gli studiosi hanno anche preso in considerazione il caso in cui non si proceda ad alcuna restrizione: in questa eventualità la mortalità nel nostro paese potrebbe crescere del 71%.
Il contenimento dei contagi dei giovanissimi e dei più anziani
A conclusioni analoghe era arrivata anche una ricerca coordinata dal ricercatore del CNR Antonio Scala che, insieme a un team di analisti, aveva preso in considerazione i dati scientifici ed epidemiologici della prima fase di pandemia in Italia. Per quanto riguarda la possibilità di chiusure selettive per età, gli esperti avevano affermato che «sia i giovani (0-19 anni) che gli anziani (over 70) sono le classi che possono avere maggiore influenza sulla fase post-lockdown». Per limitare la ripresa dei contagi, dunque, veniva sottolineata l’importanza di interventi mirati che potessero garantire da un lato una minor pressione sugli ospedali, dall’altro il mantenimento delle principali attività produttive.
I vantaggi: meno pressione sugli ospedali
«Se si riuscisse a calibrare con efficacia mirata la percentuale di popolazione isolata e la sua specifica articolazione in termini territoriali e in classi di età, senza interrompere l’economia, l’epidemia potrebbe essere contenuta fino alla creazione, produzione e distribuzione di un vaccino” spiegavano i ricercatori. Il rapporto di ISPI ora conferma: «Tra chi a causa di Covid-19 necessita di essere ricoverato in terapia intensiva, una persona su due ha più di 63 anni. Tre persone su quattro hanno più di 56 anni». Per questo secondo gli esperti «isolando in maniera efficace gli ultra sessantenni si potrebbe ridurre di quasi i tre quarti la pressione sul Sistema sanitario».
Le difficoltà a isolare gli over 60?
Uno dei limiti dell’analisi, però, riguarda la concreta possibilità di “confinare” gli over 60 o over 70 ed è lo stesso Istituto per gli Studi Politici Internazionali a farlo presente: «Davvero un lockdown limitato alle fasce più anziane ne eviterebbe l’infezione? Ci sono molti dubbi al riguardo per la difficoltà di isolare le fasce d’età a rischio».
Insomma, ci si chiede a chi sarebbe affidato un “controllo”, ma anche in quanti accetterebbero l’isolamento «in attesa di un vaccino efficace, mentre il resto della popolazione continua a muoversi, a lavorare e, in definitiva, a vivere» si chiede l’ISPI. Sempre da un punto di vista pratico, per esempio, garantirebbe loro i servizi essenziali, dalla spesa ai contatti sociali? Fin dalla scorsa primavera, in pieno lockdown generale, erano molti i Senior che si recavano al supermercato anche solo per avere la possibilità di uscire di casa e di incontrare persone. In una società sempre più frammentata, dove anche la rete familiare può venire meno a causa degli impegni lavorativi, sono numerosi gli anziani che vivono in solitudine.
Per chi, invece, vive in un contesto familiare più esteso, con la possibilità di convivenza con figli e nipoti, esisterebbe il problema di trovare una nuova casa, come sottolinea lo stesso ISPI: «È impensabile trovare soluzioni abitative diverse per gli italiani ultra sessantenni».
Ma ci sono anche valutazioni sociali e sociologiche, che partono dal ruolo essenziale e prezioso degli anziani, in particolare dei nonni.
Il ruolo in famiglia dei nonni
«Io farei molta attenzione a ragionare in termini esclusivamente anagrafici per un lockdown. Va valutato attentamente il ruolo di quelli che un tempo erano chiamati anziani e che oggi a 70 anni non lo sono più, salute permettendo: si tratta di persone sempre più attive sia lavorativamente sia in ambito familiare, che colmano il vuoto di servizi sociali che nel nostro Paese sono molto scarsi, quindi a supporto di figli e nipoti» spiega Carmen Leccardi, ordinario di Sociologia della Cultura all’Università di Milano-Bicocca.
Il nodo del lavoro: gli over 60 non sono tutti pensionati
Con l’allungamento dell’aspettativa di vita e dell’età lavorativa, la maggior parte degli over 60 è ancora attiva da un punto di vista professionale. Si potrebbe pensare di “fermarli”? I numeri dell’ISPI spiegano che teoricamente sarebbe fattibile, senza portare conseguenze negative per l’economia, anzi limitando l’impatto di un blocco totale della popolazione: «un lockdown selettivo per fasce d’età permetterebbe di evitare i contraccolpi più severi – spiegano i ricercatori – In Italia l’anno scorso 2,3 milioni di persone (il 9% della forza lavoro) erano ultra 60enni. I lavoratori ultra 65enni si riducono già a 600mila (il 2,4% del totale), mentre se considerassimo solo gli ultra 70enni ci fermeremmo a circa 130mila (lo 0,5% del totale)». Insomma, si tratterebbe di una fascia relativamente contenuta.
Cosa ne pensano gli anziani
«L’esternazione delle scorse ore da parte del presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, sull’eventuale confinamento degli anziani (ritenuti «non indispensabili allo sforzo produttivo del paese», NdR) è stata accolta negativamente dall’opinione pubblica, segno di una sensibilità e di una consapevolezza sul ruolo degli over 60 e 70 – osserva Leccardi – Io proporrei quindi di riflettere su quanto gli anziani di oggi hanno dato al mondo sociale, sia quando erano lavorativamente attivi sia oggi come sostituti del welfare. È il caso che i giovani considerino il debito nei loro confronti». Ma come tutelarli dal punto di vista sanitario? «L’esperienza recente ci dimostra che non hanno smesso di dare il loro contributo, ma semplicemente sono più attenti nel farlo. Paradossalmente i limiti si sono trasformati in risorse: anche gli anziani hanno imparato, nella maggior parte dei casi, ad autotutelarsi» afferma la sociologa. Di parere differente, invece, un’altra sociologa, Chiara Saraceno, che in un’intervista a Repubblica ha detto: «I nostri figli e nipoti hanno già pagato un prezzo fin troppo alto per questa pandemia. Nella primavera scorsa sono stati chiusi in casa, hanno fatto lezione a distanza, hanno rinunciato alla socialità per proteggere noi, gli anziani. Adesso basta. È la mia generazione che deve fare un passo indietro. Possiamo limitare la nostra libertà, se questo vuol dire lasciare le scuole aperte e permettere ai bambini e ai ragazzi di vivere la loro giovinezza».