Dopo i sacchetti e le buste dell’ortofrutta, dal 1° gennaio 2019 in Italia sono vietati anche i cotton fioc in plastica che, secondo Legambiente, formano il 9% dei rifiuti sulle nostre coste. Merito di una legge (l’ultima del governo Gentiloni) che anticipa di 2 anni la messa al bando della plastica votata a dicembre dall’Unione Europea. E, dal 2020, saranno vietati anche detersivi, detergenti e cosmetici con microplastiche (minuscole particelle contenute, per esempio, in molti detergenti e scrub) e le plastiche usa e getta come cannucce e piatti monouso.
Il riciclo è difficile
La posta in gioco è alta: ogni anno finiscono negli oceani circa 12 milioni di tonnellate di plastica con gravi danni su flora, fauna e, naturalmente, sulla nostra salute. «Immagini come quelle delle tartarughe marine soffocate da un sacchetto hanno fatto il giro del mondo» commenta Stefano Ciafani, presidente di Legambiente. «Ma dobbiamo chiederci anche cosa ritroviamo sulle nostre tavole, visto che molti pesci finiscono per mangiare le microplastiche. Il punto è che questo derivato del petrolio è leggero, resistente e così economico che si può gettare via senza troppi rimpianti».
Un problema grande in questa battaglia è che il riciclo della plastica non conviene: mentre il vetro o l’alluminio possono essere riutilizzati all’infinito, oggi si possono recuperare solo PE (teli di plastica) e PET (bottiglie). «Una bottiglia può diventare una fibra tessile, un pezzo di arredamento, un isolante o un materiale di riempimento per le strade. Poi, però, non è più riciclabile. Così solo un terzo della plastica viene recuperata, il resto finisce in discarica o nell’inceneritore». Dove, degradata in minuscole particelle, finisce nell’aria e, poi, in mare.
Tutti possiamo contribuire a ridurne l’uso
«Proprio negli oceani c’è un’altra emergenza: i rifiuti che finiscono nelle reti dei pescatori o formano enormi isole galleggianti. «Alcuni comuni del Sud, come Vico Equense e Piano di Sorrento, hanno avviato il progetto “Fishing for litter”, che autorizza i pescatori a portare in porto le plastiche rimaste nelle reti anziché, come succede oggi, rigettarle in mare. Il paradosso è che, senza autorizzazione, rischierebbero una multa». E noi consumatori cosa possiamo fare? «Privilegiare gli alimenti sfusi, usare le shopper riutilizzabili, evitare plastiche monouso e bere acqua del rubinetto».
Dove finisce quello che gettiamo
La plastica che sta soffocando i mari è un tema enorme, ma i problemi legati all’inquinamento sono tanti e dovunque. Basti pensare che molti rifiuti finiscono sull’Everest e perfino sulla Luna, dove si possono trovare zainetti, palline da golf e fazzoletti. Urge, quindi, cambiare rotta. Dati, riflessioni e stimoli all’azione per salvaguardare l’ambiente (e noi) sono raccolti in “Trash. Tutto quello che dovreste sapere sui rifiuti” (Codice edizioni).
A scriverlo due divulgatori scientifici (Piero Martin e Alessandra Viola) che riescono in modo molto coivolgente, ma senza mai rinunciare al rigore, a raccontare cosa succede a quello che gettiamo nei cestini, nelle fogne o nelle discariche. Perché deve crescere una consapevolezza che nel saggio è sintetizzata così: «Re Mida riusciva a trasformare tutto quello che toccava in oro. Noi, più modestamente, trasformiamo tutto ciò che usiamo in rifiuti». Ma proprio questa attitudine a produrre scarti è la prima cosa che dovremmo imparare a “buttare” (M.D.).