Inizia la stagione delle allergie ai pollini ma, oltre alle reazioni allergiche, i soggetti predisposti sono anche più esposti al rischio di infezioni virali, compresa quella da coronavirus. Secondo uno studio condotto presso l’Università di Monaco, in Germania, il polline «può rappresentare, in media, il 44% della variabilità dei tassi di nuove infezioni, spesso insieme ad altri fattori ambientali, come l’umidità e la temperatura».
Cosa dice lo studio
Secondo la responsabile della ricerca, pubblicata sulla rivista Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences), il polline può influire sulla possibilità di ammalarsi di Covid perché indebolisce le difese immunitarie, rendendo le persone più esposte al Sars-covd2, come ad altri virus. Gli scienziati sono arrivati a questa conclusione dopo aver esaminato le concentrazioni di polline e i contagi giornalieri da coronavirus in 31 Stati del mondo.
La risposta inferiore ai virus da parte degli allergici era già nota
«Lo studio conferma e approfondisce alcune indicazioni emerse dal 2015 quando uscì una prima ricerca svizzera che mostrava l’effetto delle allergie sulle infezioni di tipo virale. In particolare, negli ultimi 5/6 anni si sta vedendo che la risposta alle infezioni virali è differente nei soggetti normali rispetto a quelli allergici. Nel primo caso, infatti le infezioni da parte dei virus a livello di mucosa nasale e delle mucose respiratorie inducono una risposta con citochine antivirali potenti, che si oppongono all’ingresso del virus stesso nell’organismo. Nelle persone allergiche, invece, le cellule che dovrebbero segnalare l’arrivo dei virus sono di fatto già impegnate nella risposta agli allergeni, come nel caso dei pollini, e quindi hanno meno disponibilità a rispondere alle infezioni virali. In pratica, è più facile che siano soggette all’attacco da parte di virus, compreso il Sars-Covd2» spiega Marzia Duse, allergologa dell’Università La Sapienza di Roma.
Perché gli allergici sono più esposti alle infezioni virali
«Gli studi mostrano come nei soggetti con allergie le colonie dei virus attecchiscono con più facilità e con un numero maggiore di colonie, perché il tessuto delle mucose delle vie respiratorie è già infiammato e ingaggiato nel contrasto ai pollini: è come se fosse “distratto” e dunque i recettori sono meno pronti a indurre una risposta antivirale da parte del sistema immunitario, che risulta più indebolito» spiega ancora l’esperta.
Un aiuto dalle terapie monoclonali
La riprova di questi meccanismi di difesa, che negli allergici sono meno efficaci, arriva dal ricorso alle terapie monoclonali per alcune forme di allergie particolarmente importanti. «Si è visto che nei bambini con allergie molto gravi e trattati con anticorpi monoclonali per ridurre le reazioni allergiche, la cura porta a un beneficio anche per quanto riguarda le infezioni virali, che diminuiscono» spiega Duse.
Si tratta di notizie incoraggianti, soprattutto per chi ha forme importanti di allergie. Come chiarisce l’esperta, “questo effetto positivo è dovuto al fatto che gli anticorpi monoclonali ripristinano il meccanismo virtuoso di difesa da parte dell’organismo, che invece sarebbe compromesso dall’allergia, e il risultato è che i bambini in questione prendono meno infezioni».
Allergie e Covid: come distinguerli?
L’inizio della primavera coincide anche con l’aumento delle reazioni allergiche, specie da pollini. L’aumento dei contagi da coronavirus (complici le varianti) può rendere, però, difficile distinguere un caso di Covid rispetto a una più “comune” allergia. Di fronte a una lacrimazione abbondante degli occhi, infatti, si potrebbe pensare a un sintomo di allergie, ma anche a una congiuntivite dovuta al virus Sars-Cov2. Come capire di cosa si tratta?
«Purtroppo è difficile fare una diagnosi precisa, perché alcuni sintomi possono coincidere. È chiaro che se la lacrimazione avviene fuori stagione, è legittimo pensare che non si tratti di una reazione allergica. In questo periodo, invece, il dubbio può esserci, per questo consiglierei di sottoporsi a tampone per escludere che si tratti di Covid» chiarisce l’allergologa.
La febbre può essere un elemento distintivo del Covid? «Sì, senz’altro non è tipica di un’allergia, ma sappiamo che potrebbe anche non comparire in caso di contagio da coronavirus. Le manifestazioni cliniche del Sars-Cov2, infatti, sono molteplici e variano da individuo a individuo».
«Bisogna prestare attenzione anche ad altri sintomi che possono essere comuni, come cefalea o senso di stanchezza, che possono accompagnare sia una reazione allergica che un caso di Covid. Ciò che invece senz’altro è tipico dell’infezione da coronavirus è la perdita di gusto e olfatto: in caso compaiano non ci sono dubbi che si tratti di Covid, quindi è opportuno sottoporsi a tampone» conclude l’esperta.