Quante volte si cambia l’aria a scuola? Per quanto tempo? Forse le norme seguite finora nelle classi potrebbero non essere sufficienti o quantomeno potrebbero essere migliorate. Stando ai risultati di una ricerca, condotta da un gruppo di fisici della New Mexico University, arieggiare i locali chiusi e in particolare le aule scolastiche potrebbe ridurre fino al 70% la quantità di goccioline (il cosiddetto droplet) che possono veicolare il coronavirus. Questo, ovviamente, non significa che bisogna ridurre o – peggio – eliminare l’uso della mascherina, il lavaggio delle mani e la distanzia di sicurezza! Ma allora come e perché il ricambio dell’aria aiuta contro il Covid?
Perché arieggiare può ridurre il rischio di contagio
Si potrebbe pensare che sia la scoperta dell’acqua calda e in effetti l’importanza di un corretto ricambio dell’aria era stata ribadita fin dai mesi scorsi, quando si era parlato della possibilità di trasmissione del coronavirus tramite aerosol o airbone. Ora, però, si è tornati a parlarne, sia alla luce dello studio messicano sia per alcune indicazioni giunte dagli Usa e dal Regno Unito. I Centers for Disease Control and Prevention americani (CDC) hanno infatti affermato che il Sars-Cov2 può essere trasmesso anche per via aerea, in particolare in spazi chiusi dove non sia garantita una ventilazione adeguata. Questo perché le goccioline che sono emesse tossendo, respirando o parlando possono rimanere sospese in aria per diverso tempo. Il problema è che non è noto per quanto esattamente (si parla di ore o persino giorni, a seconda della loro grandezza). «C’è una crescente evidenza chedroplets e particelle aeree possono rimanere sospese nell’aria ed essere respirate da altri, e viaggiare oltre i due metri (per esempio, quando si canta in un coro, si è nei ristoranti o nelle palestre). In generale in ambienti interni senza una buona ventilazione i rischi aumentano» ribadiscono i CDC sul proprio sito.
Ma anche dal Regno Unito arriva un’indicazione analoga, tanto che sul British Medical Journal si spiega che, proprio come può avvenire con i virus di tubercolosi, morbillo e varicella (che possono «infettare persone anche a distanze maggiore dei due metri o dopo che la persona infetta ha lasciato il locale»), «esistono evidenze che in certe condizioni, persone con Covid-19 abbiano infettato altri che stavano oltre 1,8 metri di distanza. Tali trasmissioni avvengono in spazi chiusi che hanno una ventilazione inadeguata».
Obbligo di arieggiare anche in Germania e Francia
L’importanza del ricambio dell’aria è testimoniata da apposite norme emanate in alcuni paesi europei, come Francia e Germania. Oltralpe, dove cresce di giorno in giorno l’emergenza sanitaria, la direzione generale della Sanità in un comunicato ha scritto nero su bianco che è necessario aggiunge il ricambio d’aria alle misure di protezione anti-Covid, dopo che anche la Germania lo ha ribadito nei giorni scorsi. E’ stata la Cancelliera tedesca in persona, Angela Merkel, a ricordare che aprire le finestre regolarmente è «uno dei modi più economici ed efficaci per contenere la diffusione del virus».
D’altra parte in piena estate erano stati 200 esperti a esortare l’Organizzazione Mondiale della Sanità a inserire ufficialmente la trasmissione per via aerea tra le modalità di contagio. L’OMS ha poi recepito l’indicazione, mentre in Italia fin da aprile è attiva una pagina Facebook che sottolinea l’importanza del ricambio dell’aria. Si chiama Apriamo le finestre ed è promossa da Giampaolo Mezzabotta e Claudio Marra, medici con esperienza in paesi a larga diffusione di malattie virali, che insieme a Fabrizia del Greco, pubblicano con regolarità articoli studi che confermano il loro “slogan”. Tra i più recenti ci sia le indicazioni dei CDC americani, sia il parere concorde di Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri.
Cosa sappiamo finora
Se il consiglio, dunque, sembra unanime, ciò che non ancora del tutto chiaro è il tempo di permanenza del virus in aria o la sua capacità di “diffondersi”. Uno studio condotto lo scorso marzo da un team di esperti di diverse università statunitensi aveva indicato il tempo di persistenza nell’aria del virus fino a 3 ore. «Sui ricambi d’aria le indicazioni sono critiche» spiegavano su Scienza in Rete anche due esperti italiani, l’epidemiologo Francesco Forastiere, con esperienze all’estero anche come consulente dell’OMS, e l’allergolo Floriano Bonifazi.
Cosa dice l’Istituto Superiore di Sanità
Sul tema era intervenuto anche l’Istituto Superiore di Sanità che fin dal 12 marzo scorso sul proprio sito aveva predisposto un’infografica che raccomandava, tra i consigli contro il coronavirus in ambienti chiusi, di «garantire un buon ricambio d’aria in tutti gli ambienti: casa, uffici, strutture sanitarie, farmacie, parafarmacie, banche, poste, supermercati, mezzi di trasporto”. Come secondo consiglio ecco anche «aprire regolarmente le finestre scegliendo quelle più distanti dalle strade trafficate». L’aspetto dell’inquinamento ambientale veniva ribadito al terzo punto «Non aprire le finestre durante le ore di punta del traffico e non lasciarle aperte la notte», mentre come ultima raccomandazione c’era quella di «ottimizzare l’apertura in funzione delle attività svolte». È invece nel protocollo del 28 maggio sulla riapertura delle scuole che è stata prevista l’indicazione sul ricambio d’aria. «I locali scolastici destinati alla didattica dovranno, inoltre, essere dotati di finestre per garantire un ricambio d’aria regolare e sufficiente, favorendo, in ogni caso possibile, l’aerazione naturale» si legge nel documento, senza precisare la frequenza con cui debba avvenire. Quanto agli impianti di condizionamento si rimanda alle specifiche indicazione del dell’ISS di sanità del 21 aprile, che vietava il ricircolo dell’aria. «Nel documento dell’Istituto Superiore di Sanità si legge quella che è la nostra indicazione, poiché comunque cambia molto in funzione di tanti parametri» chiarisce l’epidemiologo dell’ISS, Paolo D’Ancona. Ad esempio, si ricorda che «I tempi di apertura devono essere ottimizzati in funzione del numero di persone e delle attività svolte nella stanza/ambiente per evitare condizioni di disagio/discomfort (correnti d’aria o freddo). È preferibile aprire per pochi minuti più volte al giorno, che una sola volta per tempi lunghi».
Scuole italiane: a ciascuna le proprie norme
Qualche istituto, dunque, nel redigere il proprio protocollo sulla base delle linee guida del Comitato Tecnico-Scientifico le ha chiamate pause relax, come in alcune scuole della Liguria di levante. Si tratta di “brevi ricreazioni”, raddoppiate nel numero rispetto ai precedenti anni scolastici e della durata di circa 10’, durante i quali aprire le finestre per permettere il ricambio d’aria. Altri dirigenti, pur non adottando uno specifico nome, hanno semplicemente previsto la stessa possibilità, come accaduto ad esempio in Emilia Romagna. Qui è stato l’Ufficio scolastico regionale a diffondere una nota per dare indicazioni uniformi. Si prescrive di «ricorrere quanto più possibile all’aerazione naturale» e, più nello specifico, di «arieggiare lungo tutta la giornata, aprendo le finestre regolarmente, per non meno di cinque minuti, più volte al giorno e con qualsiasi tempo, ad ogni cambio insegnante, durante l’intervallo e dopo la pulizia dell’aula». Unico limite: che i livelli di inquinamento esterni non sia eccessivi. «Per quanto riguarda la possibile aerosolizzazione, le evidenze sono ancora controverse, ma le nostre indicazioni tengono conto anche queste situazioni a rischio ad esempio nell’uso degli ascensori con una limitazione sul numero di persone, nell’evitare ventilazioni fisse, nella necessità di arieggiare frequentemente, nell’aumentare le distanze laddove ci siano attività con una maggiore possibilità di aerosolizzazione (es. due metri tra cattedra e banchi o nel caso di attività fisica o canto)» conclude l’epidemiologo dell’ISS.