Che la malattia Covid possa lasciare strascichi nel lungo periodo è ormai noto. Dopo un anno e mezzo dall’inizio della pandemia medici ed esperti hanno confermato che gli effetti dell’infezione possono trascinarsi per mesi. Quello che finora non si sapeva, però, è che il coronavirus può causare forme di depressione del tutto paragonabili a quelle della sindrome ansioso-depressiva di tipo “endogeno”, cioè alla patologia vera e propria. A scoprirlo sono stati gli esperti del team di ricerca in Psichiatria e Psicobiologia Clinica del San Raffaele di Milano. «Lo studio ci ha mostrato l’importanza del decorso dalla malattia Covid: quello che abbiamo visto è che dopo un mese e mezzo o due, ma anche sei mesi, possono comparire sintomi che spesso chi è guarito non sa spiegarsi o attribuisce a semplice stanchezza o malumore, ma che in realtà hanno un motivo biologico e, se sottovalutati o trascurati, possono portare a conseguenze più importanti» spiega Benedetti.

Il Covid causa sofferenza cerebrale

La ricerca è stata condotta su pazienti che erano stati ricoverati presso l’Ospedale San Raffale per polmonite da Covid-19 durante la seconda ondata della pandemia, seguiti per almeno tre mesi dopo le dimissioni. Si tratta di persone di età media di 54 anni, nessuno dei quali aveva mai sofferto di depressione o disturbi da stress post-traumatico prima dell’infezione e che non era neppure finito in rianimazione, né aveva riportato lesioni cerebrali durante la fase acuta della polmonite. «Avevamo già studiato pazienti che, una volta guariti, avevano avuto sindromi ansiose e depressive nei tre mesi successivi alla malattia. Anche negli Usa i dati dimostrano che un terzo di chi si è ammalato di Covid si rivolge a uno psichiatra nei sei mesi successivi per sintomi legati all’ansia. Ma quello che abbiamo scoperto ora va oltre e conferma quanto sospettavamo: l’infiammazione da Sars-Cov2 è direttamente responsabile di un’alterazione della microstruttura cerebrale sia della materia grigia che di quella bianca. Questo significa che la malattia ha impatto diretto su tutto il cervello, che può portare a una riduzione delle performance, insomma a una sofferenza cerebrale» spiega ancora l’esperto psichiatra.

Il virus infiamma il cervello

Non si tratta, dunque, di un malessere o un senso di paura generico per il timore di riammalarsi o per il fatto di essere rimasti in ospedale, magari a lungo o in isolamento. Il campione analizzato, seppure di 42 pazienti, era costituito da persone che non erano state intubate, né in rianimazione e non avevano avuto precedenti casi di sindromi depressive: insomma, si tratta di soggetti ritenuti non a rischio. Eppure il virus aveva lasciato “un segno” mostrato tramite una risonanza magnetica molto approfondita: «Le normali risonanze avevano indicato parametri clinici nella norma, mentre da esami più raffinati sono emerse alterazioni a livello cerebrale anche dopo 3 o 4 mesi dalla guarigione. Questo è spiegato dal fatto che il virus, così come può causare un’infiammazione in altri organi, può farlo anche con il cervello. Durante gli stati infiammatori prolungati, inoltre, si attiva un enzima che abbassa la serotonina, il cosiddetto ormone del buonumore – spiega Benedetti – I pazienti in questione avevano riferito di un senso di generale affaticamento, di malessere, senza capirne il motivo e lo avevano attribuito a fattori emotivi, mentre così non è. Si tratta dell’effetto dell’infiammazione sulla sostanza grigia e bianca del cervello».

Attenzione a questi sintomi

«I sintomi sono gli stessi della depressione endogena, quella tipica della malattia depressiva, come tristezza e riduzione di capacità di azione, un generale rallentamento, fatica nella capacità di strutturare l’azione non tanto per mancanza di volontà, quanto per una reale difficoltà a perseguire e raggiungere un obiettivo. In generale, chi accusa queste sensazioni tende a trascorrere più tempo a letto e fatica nel compiere le normali attività quotidiane, ma può avere anche un deficit di memoria e attenzione, che dura per mesi. A volte si prova anche senso di angoscia o ansia persistente. Insomma, non è colpa del semplice ricordo della malattia o di stanchezza dovuta a un periodo particolarmente intenso. Nei casi di depressione post Covid occorre intervenire, altrimenti la situazione potrebbe anche peggiorare» spiega l’esperto del San Raffaele.

Le donne sono più a rischio

«La fascia d’età è la stessa di maggior rischio per la polmonite da virus Sars-Cov2, quindi gli over 50 perché nei più giovani spesso la malattia è paucisintomatica, cioè ha sintomi più lievi» chiarisce il professore dell’Università Vita Salute-San Raffaele. E le donne sono più a rischio: «Sono più vulnerabili e il motivo è legato al diverso funzionamento del sistema immunitario rispetto agli uomini: mentre questi sono più a rischio di morte da Covid, come dimostrato dai dati, le donne muoiono meno, ma sono più esposte alle reazioni immunitarie prolungate da coronavirus. Così come per la depressione “normale”, che colpisce il genere femminile 3 volte di più rispetto ai maschi, così anche quella dovuta al Covid è più diffusa» spiega Benedetti. Il motivo, ancora una volta, è legato alle oscillazioni ormonali, che da un lato proteggono la donna offrendo un sistema immunitario molto reattivo ed efficiente, dall’altro possono esporla maggiormente ad alcune forme infiammatorie proprio in ragione delle oscillazioni a cui è soggetta».

Come si guarisce e in quanto tempo

Dalla depressione e ansia post Covid, però, si guarisce. «È bene rassicurare che queste forme depressive rispondono molto bene alle normali cure che sono previste anche per quelle endogene, non legate a Covid: si va da farmaci specifici, che aumentano l’azione della serotonina, alle terapie con la luce combinate a esercizio fisico, passando per tecniche di rimedio neuro-cognitivo: si tratta di semplici esercizi, che noi ad esempio facciamo eseguire al computer. Sono personalizzati perché mirano a risolvere problemi specifici dei singoli soggetti, come la memoria o l’attenzione. Il nostro cervello è plastico, è un organo vivo ed esercitandolo accelera il ripristino delle proprie funzioni. Per questo diciamo che, in caso di malattia Covid e di successivi sintomi sospetti, è bene rivolgersi a uno specialista per intervenire per tempo» conclude il dirigente dell’Unità di ricerca in Ppsichiatria e Psicobiologia Clinica del San Raffaele.