Quanto durano
gli anticorpi in chi si è ammalato di Covid? Davvero si corrono meno rischi,
nel caso di una seconda ondata di contagi? Sono le domande più frequenti ora
che il numero di casi è nettamente diminuito e l’emergenza nelle terapie
intensive è terminata. Ma il monito a non abbassare la guardia resta
anche e soprattutto perché non si ha la certezza che chi si è infettato con il
Sars-Cov2 non possa essere colpito una seconda volta.
L’immunità potrebbe essere temporanea
I ricercatori del King’s College di Londra e alcuni colleghi italiani dell’Irccs Burlo Garofalo di Trieste, che hanno pubblicato uno studio sulla rivista internazionale BMJ Global Health, sembrano convinti che l’immunità sia temporanea (di 3 o 4 mesi) e che coloro che ha già contratto la malattia possano rischiare un secondo contagio, potenzialmente più virulento. Frenano, invece, altri esperti come il professor Lorenzo Dagna, primario dell’Unità di Immunologia, Reumatologia, allergologia e Malattie Rare dell’IRCCS San Raffaele di Milano: «Si tratta di una teoria che necessita di essere dimostrata con dati che al momento non ci sono per il semplice motivo che è passato troppo poco tempo. Sono trascorsi solo pochi mesi da quando è scoppiata la pandemia, è presto per stabilire se l’immunità di chi è stato contagiato ed è guarito sarà duratura. Ma se fosse vero che gli anticorpi da Covid19 danno una protezione limitata e che va a scomparire nel tempo, allora significherebbe che metà della comunità scientifica mondiale al momento concentrata a trovare il vaccino starebbe perdendo tempo e denaro».
Quali anticorpi si formano
La questione centrale riguarda la quantità e il tipo di anticorpi che si producono dopo un’infezione, in particolare dal coronavirus responsabile di Covid19. Oltre alle IgM, che rappresentano la prima risposta all’infezione, è fondamentale capire quanto durano le IgG, ossia gli anticorpi che danno un’immunità più o meno permanente, come accade per altre malattie infettive come il morbillo. Ma cosa accade in caso di Covid19? «Generalmente gli anticorpi hanno una funzione protettiva in chi è guarito da una malattia virale perché in caso di nuove infezioni impediscono al virus di entrare nelle cellule riconoscendo la struttura del virus e bloccandolo» premette Dagna.
«Nel caso di Sars-Cov2 è
difficile capire oggi che tipo di protezione possano dare gli anticorpi tra 12
mesi o più tempo, bisognerà attendere perché al momento non ci sono dati
scientifici oggettivi» aggiunge l’esperto del san Raffaele.
Gli anticorpi potrebbero “nuocere”?
Si cerca di capire anche se gli anticorpi non possano paradossalmente “nuocere” in caso di secondo contagio. «Il ruolo degli anticorpi è allo studio, anche qui al San Raffaele, perché in alcuni casi sembrano dare risposte “dannose”. Ad esempio, se noi facciamo un prelievo di sangue su soggetti gravi (ad esempio ricoverati in rianimazione) a causa di Covid-19 troviamo comunque anticorpi: come mai allora queste persone non guariscono? Una possibile spiegazione è legata al funzionamento stesso degli anticorpi: non solo si legano al virus bloccandolo, ma allo stesso tempo inviano un segnale al sistema immunitario che si allerta, creando infiammazione. Ma in caso di Covid19 questo meccanismo equivale a gettare benzina sul fuoco, perché è proprio l’eccesso di infiammazione che danneggia i pazienti, le terapie che si sono dimostrate più efficaci vanno proprio a spegnere l’infiammazione. In pratica, gli anticorpi potrebbero contribuire ad amplificare la risposta infiammatoria» spiega il primario, professore associato di Medicina Interna all’Università Vita-Salute San Raffaele. «Siamo quindi in presenza di una teoria seppur interessante, ma non dimostrata in modo univoco. Quello che è certo è che ora il virus sta circolando, anche se con una carica minore e con casi ridotti e meno gravi. Se davvero gli anticorpi rendessero la malattia più aggressiva, come mai ora non osserviamo casi gravi neanche tra chi ha avuto Covid19 negli scorsi mesi?».
Gli anticorpi nei bambini e negli anziani
A conferma della propria ipotesi, i ricercatori triestini portano l’esempio dei bambini, che hanno meno anticorpi rispetto a un adulto, perché hanno incontrato meno virus e batteri nella loro vita più breve, e che si sono dimostrati meno colpiti dal Sars-Cov2 o con sintomi molto più lievi. «Se da un lato è vero, dall’altro le differenze rispetto agli adulti sono molte e di varia natura, non mi sentirei di indicare gli anticorpi come unica spiegazione. Per esempio, una parte del sistema immunitario risponde in modo molto più vigoroso in un anziano rispetto a quanto si osserva in un bambino. A titolo di esempio, ci sono malattie infettive come la varicella che danno risposte infiammatorie più severe negli adulti, ma questo non dipende dagli anticorpi. Piuttosto va ribadito che ci sono molti aspetti della malattia Covid19 che ancora non conosciamo» spiega l’immunologo Lorenzo Dagna.
L’importanza del vaccino
C’è chi si chiede se sia possibile realizzare un vaccino contro il Sars-Cov2 e se questo possa essere efficace in caso di mutazioni: «Al momento non esiste alcun vaccino contro i coronavirus perché non ce n’era la necessità. Ad esempio il Coronavirus responsabile del raffreddore comune non ha la proteina che lo rende patogeno per il polmone, dunque in grado di causare complicanze polmonari tali da giustificare un vaccino. Ma per il Sars-cov2 il discorso è differente, tant’è che tutti i paesi del mondo stanno collaborando e investendo ingenti somme per arrivare a un vaccino» spiega l’immunologo. E se il virus mutasse? «È vero che i virus a RNA, come il Sars-cov2, mutano in continuazione, ma la maggior parte di queste mutazioni porta a piccole variazioni, all’incapacità del virus stesso di replicarsi o alla perdita della sua virulenza. Quelle che invece si diffondono possono potenzialmente dare luogo a ceppi nuovi, ma ad oggi non ci sono evidenze che le proteine che permettono al Sars-cov2 di entrare nelle cellule dell’organismo siano sostanzialmente differenti in diverse zone del mondo. Al momento la ricerca sul vaccino punta proprio a bloccare quelle proteine che gli permettono di entrare nella cellula e causare la malattia, la cosiddetta Spike. Se questa mutasse, è plausibile che il virus perderebbe efficacia e probabilmente non sarebbe più in grado di provocare l’infezione» dice spiega l’immunologo Lorenzo Dagna.. «È quindi giusto continuare le ricerche in diverse direzioni, con attenzione e scrupolo, soprattutto senza fare terrorismo».