Cosa c’entrano i muscoli con il Covid? Ma soprattutto, chi soffre di sarcopenia, quindi di debolezza muscolare, ha maggiori probabilità di ammalarsi in modo più grave? Alle domande arrivano ora risposte da una ricerca che ha mostrato come le persone con poca massa muscolare hanno in effetti più probabilità di un esito sfavorevole o più grave dell’infezione da Sars-Cov2. Anche se hanno 40 o 50 anni. Ecco perché.

Cosa ha scoperto la ricerca

A scoprire il nesso tra sarcopenia e Covid è uno studio, pubblicato sulla rivista scientifica Radiology: ha coinvolto 552 pazienti di cui 364 uomini, che si si sono recati al Pronto Soccorso per Covid tra febbraio e aprile 2020. «È possibile suddividere coloro che si ammalano a causa del virus Sars-Cov2 in due gruppi: chi ha poca massa muscolare e chi invece ha una quantità di muscoli nella norma o più sviluppata. Nel primo caso abbiamo verificato che c’è una maggiore probabilità di un decorso sfavorevole, con più rischio di entrare in terapia intensiva o di ammalarsi di Covid in forma più grave» spiega Simone Schiaffino, radiologo presso l’Irccs Policlinico San Donato e primo autore dello studio.

Covid e muscoli: che legame?

Come mai si verifica questo? «In generale i sarcopenici sono soggetti più fragili, tanto che è noto da tempo che chi sviluppa tumore ed è sarcopenico ha anche più probabilità di avere una prognosi infausta della malattia. Nel caso specifico del Covid, il rapporto tra l’infezione e la massa muscolare ha a che fare con le difficoltà respiratorie – spiega Schiaffino – Nella maggior parte degli individui, infatti, il virus interessa e colpisce le vie respiratorie. Considerando che il respiro dipende dai muscoli, quando si è in condizioni di sofferenza dei polmoni, come nel caso del Covid, anche la respirazione cambia e richiede più sforzo. È quindi evidente che se abbiamo una minore massa muscolare, avremo anche più difficoltà a ossigenare».

Come chiarito dall’esperto, «è dimostrato che la massa muscolare toracica è rappresentativa di quelle generale dell’individuo e non c’entra con l’età» spiega Schiaffino.

Contano i muscoli, non l’età o il genere

La ricerca ha analizzato l’età, sesso, indice di massa corporea, estensione della polmonite, stato muscolare, eventuali malattie concomitanti broncopolmonari, cardiovascolari, neurologiche e oncologiche, diabete, insufficienza renale e indici derivati dagli esami di laboratorio. «La nostra ricerca è partita analizzando la massa muscolare del torace, sottoponendo a tac i pazienti che si presentavano al Pronto Soccorso soprattutto nella zona di Brescia e Novara, in piena prima ondata pandemica, quando gli accessi erano molto elevati e i soggetti erano sottoposti a triage prima del ricovero. Quello che è emerso è che il nesso tra prognosi e massa muscolare è indipendente dall’età e dal genere di appartenenza, per questo parliamo proprio di fattore indipendente» spiega il radiologo.

«In pratica, è ipoteticamente possibile che un 50enne con poca massa muscolare possa stare peggio rispetto a un 80enne con più muscoli» aggiunge Schiaffino. Da qui l’importanza di una corretta attività fisica e di una dieta equilibrata.

Quanto sono importanti movimento e dieta

La perdita di massa muscolare è un elemento fisiologico collegato al passare degli anni: «È normale che dopo i 40 anni si inizi a perdere un po’ di tono muscolare, ma è possibile mantenerlo con una corretta attività fisica. L’importante è fare movimento con regolarità, coinvolgendo possibilmente tutto il corpo, in modo da rafforzare la muscolatura in maniera omogenea, anche con comuni esercizi a corpo libero come quelli che si fanno in palestra» spiega Schiaffino.

«A ciò va unita una dieta equilibrata. Non bisogna prevedere un maggior consumo di proteine, specie di origine animale, né ricorrere al fai-da-te: basta seguire un’alimentazione bilanciata, in modo da non far venir meno nessun nutriente che possa servire ad avere una massa muscolare normale» conclude l’autore della ricerca.

La ricerca è stata coordinata da diversi centri e ospedali: Irccs Istituto ortopedico Galeazzi, Irccs Policlinico San Donato di Milano, Azienda ospedaliero-universitaria Maggiore della Carità di Novara, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano, Fondazione Poliambulanza Istituto Ospedaliero di Brescia, Istituto Europeo di Oncologia e Ospedale di Cento. Tre le università coinvolte: l’Università degli Studi di Milano, l’Università degli Studi di Palermo e l’Università degli Studi del Piemonte Orientale.