I ministri dell’Istruzione, Azzolina, e della Salute, Speranza, puntano a introdurli anche nelle scuole, per semplificare e ridurre i tempi delle diagnosi. Più veloci dei tamponi, i test rapidi hanno un funzionamento analogo, anche se l’attendibilità del risultato è inferiore. Al momento sono giù in uso in alcuni aeroporti, come a Roma Fiumicino, mentre l’Azienda per la Tutela e la Salute pubblica dell’Insubria conta di disporne per metà settembre, da impiegare allo scalo di Malpensa. Ma sono molti gli ospedali che stanno puntando a questo tipo di analisi, come in Emilia Romagna, soprattutto in vista dell’autunno per agevolare quanto più possibile le diagnosi, distinguendo tra influenza e Covid. Ecco come funzionano questi test.

Come funziona il test rapido

«Al momento disponiamo di tre tipi di analisi riguardo al Sars-Cov2. I test sierologi, i tamponi e i cosiddetti test rapidi. Questi ultimi sono detti antigenici, perché vanno a ricercare l’antigene, ossia particelle del coronavirus. Sono diversi, quindi, dai sierologici, che individuano la presenza di anticorpi, che a loro volta possono dirci se siamo entrati in contatto con la malattia (ma nel frattempo potremmo essere guariti). Come il tampone, invece, vanno a cercare il virus, ma lo fanno in modo più rapido» spiega Paolo D’Ancona, epidemiologo e ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità.

I pregi del test rapido

«Rispetto a un tampone, che fornisce un risultato nell’arco di qualche ora (o di più, a seconda della disponibilità dei laboratori), i test rapidi possono dare indicazioni in meno di un’ora, persino in 15/30 minuti. Il risultato viene letto, infatti, da un apparecchio molto più piccolo, simile per dimensioni a quello usato per i pazienti diabetici che hanno necessità di tenere sotto controllo la glicemia» spiega D’Ancona.

I limiti del test rapido

«Quando si parla di test diagnostici occorre tenere presente due parametri: la sensibilità e la specificità. Nel primo caso ci si riferisce alla capacità di individuare, come per il Sars-Cov2, gli eventuali positivi. I test rapidi già in commercio hanno una sensibilità dell’85%, dunque discreta perché su 100 persone testate positive, 15 sfuggirebbero mentre 85 sarebbero individuate. È anche vero che i falsi negativi probabilmente sono quelli con carica virale più bassa e quindi meno infettivi. Quanto alla specificità, cioè la capacità di fornire risultati corretti quando il test risulta positivo, i valori sono del 95%, dunque molto alti» spiega l’epidemiologo.

Chi può eseguire il test rapido

«I test rapidi, però, non sono analisi fai-da-te: occorre effettuare un tampone nasale o faringeo, che è un esame un po’ invasivo come potrebbe essere un prelievo di sangue, dunque è richiesto l’intervento di personale infermieristico o debitamente formato. Questo è il motivo che al momento fa escludere la possibilità immediata di somministrarli nelle scuole, dove il personale docente o ATA non sarebbe normalmente tenuto neppure a misurare la temperatura degli studenti» spiega l’esperto.

«Sono comunque in via di sviluppo test rapidi che si basano sul prelievo di saliva, dunque che potrebbero rendere la somministrazione più semplice e diffusa in ambiti che non siano solo ospedalieri o aeroportuali, come già avviene» spiega D’Ancona.

Quando fare il test rapido

Nei giorni scorsi si è parlato della possibilità o meno di estendere i controlli diagnostici a tutti coloro che gravitano nel mondo della scuola, dunque non solo degli insegnanti (a cui è stato offerto gratuitamente il test sierologico): «In realtà non è fattibile né consigliabile con i test attualmente a disposizione: si tratterebbe di testare circa 10milioni di individui tra personale della scuole e studenti, e comunque fare screening a tutti non è una soluzione definitiva, perché il test andrebbe ripetuto ogni qualvolta ci sia il sospetto di contagio» – spiega l’esperto – In questo caso, invece, è più opportuno procedere al tampone “classico” mirato ai casi sospetti o ai contatti stretti. In attesa del risultato, ad esempio su uno studente, non è necessario procedere all’isolamento dei compagni o di tutti i contatti. Il singolo mal di testa, infatti, potrebbe essere dovuto a un’allergia o all’uso scorretto degli occhiali. La quarantena scatterebbe solo in caso di accertata positività» conclude Paolo D’Ancona.