«Arrivi a un punto, come coppia, in cui pensi che niente possa più toccarti. E invece pian piano ti rendi conto che ogni piccola cosa può ancora fare male» dice Jessica Chastain, moglie sull’orlo di una crisi coniugale, all’inizio di Scene da un matrimonio, remake in versione serie tv del capolavoro di Ingmar Bergman, appena presentato alla Mostra del Cinema di Venezia.
Ed è così che succede: spesso le storie d’amore iniziano a finire per ragioni all’apparenza trascurabili, sassolini che precipitando si trasformano in valanghe e distruggono equilibri rodatissimi senza che nessuno riesca davvero a spiegarsi perché: sembravano così felici. E Sembravano così felici è perciò il titolo del saggio di Silvana Quadrino, psicologa e psicoterapeuta della famiglia, che racconta il momento in cui la crisi si apre, e le coppie «entrano in quell’area di turbolenza che chiamiamo incertezza».
Lo fa attraverso 10 storie raccontate in presa diretta, molto specifiche e perciò universali: «Quello che scrivo nasce dal mio lavoro, dal film che vedo nella mia mente mentre parlo con i pazienti. Nel libro non racconto casi particolari, sarebbe irrispettoso, ma situazioni diffusissime, anche se apparentemente eccezionali». Al termine di ogni racconto, l’autrice analizza gli snodi che hanno portato a quell’epilogo. Ma gli ingranaggi della vita reale, soprattutto se è la nostra, sono molto meno nitidi.
Come si riconoscono i segnali di una crisi
E quindi come si riconoscono i segnali di una crisi potenzialmente rovinosa? «Ognuno dovrebbe fidarsi di quello che percepisce. Nel momento in cui io provo fastidio per alcune richieste del mio partner a cui ho sempre detto di sì perché non mi costava nulla – per esempio preparare la cena mentre lui sta sul divano, o andare in montagna tutte le domeniche con i suoi amici – si entra in una fase critica: devo decidere se dirlo oppure no» risponde Silvana Quadrino. «Esplicitare il fastidio significa esporsi a ciò che sappiamo succederà: accuse, recriminazioni, il consueto “ma allora non mi ami più”. In alternativa posso scegliere di accontentarmi. È una parola che uso spesso coi miei pazienti nel suo senso più etimologico: “rendermi contento” di quello che la relazione mi dà. Nelle mie storie compare spesso il “libro dei conti”, ovvero il bilancio segreto di ciò che ciascuno ha fatto per l’altro e di ciò che non ha ricevuto in cambio. Esaminandolo, posso decidere in coscienza di essere contenta così, e non consentirmi più di fare la lagna. Altrimenti meno dico e più accumulo, e alla fine il bilancio esplode».
Privilegiare la “comunicazione io”
Bisogna allora imparare a privilegiare la “comunicazione io” – così la definisce la psicoterapeuta – che mette al centro le proprie esigenze e sensazioni, per evitare la “comunicazione tu”, che è accusatoria e giudicante: tu dovresti fare, tu dovresti cambiare. Attribuirsi il potere di dire a un’altra persona come si deve comportare crea conflitto, spiega Silvana Quadrino, quando invece dovremmo assumerci la responsabilità delle nostre richieste: «Nel momento in cui due persone si mettono insieme, si portano dietro valori, convinzioni, priorità. Poi inizia una sorta di mediazione: l’innamoramento è la fase in cui abbiamo la maggior curiosità e la minore diffidenza, e accettiamo cose che in un’altra situazione emotiva avremmo respinto. La coppia si struttura in questa dinamica di adattamento e adotta strategie che a volte funzionano e a volte no, perché gli elementi in gioco sono umani, e noi abbiamo potere solo su noi stessi. Allora bisogna porsi una domanda: come posso stare in questa storia senza soffrire troppo? La sofferenza non nobilita, anzi fa marcire tutto: se non si può ridurre, meglio lasciar perdere».
Quando la “colpa” è di un evento esterno
A volte è un evento esterno a scardinare il sistema di regole su cui è fondata una coppia: può essere epocale come una pandemia, ma anche banale come un incidente domestico. Quello che importa, in questi casi, è che sia sopravvissuta un po’ di curiosità, magari sotto le ceneri della routine, e che invece di chiedersi “ma cosa ci facciamo insieme io e te“ si abbia la voglia di chiedersi “ma cosa possiamo fare, insieme, io e te?”. A volte, invece, l’amore finisce e non c’è niente che si possa fare.
In un altro film presentato a Venezia, Una relazione di Stefano Sardo, c’è una coppia che prova a lasciarsi senza aprire conflitti, nel tentativo di non soffrire. È davvero possibile? «Il dolore va attraversato. Se non ci fosse, vorrebbe dire che ho dedicato a quella storia tempo senza valore» risponde la dottoressa Quadrino. «Ma ci sono coppie che si telefonano, dopo la separazione, per condividere questo dolore senza accuse, ed è una cosa molto bella. Ciò che ognuno può conquistare è l’abitudine a esercitare un po’ di autocritica. Noi ci raccontiamo la nostra vita come se fosse la verità, ma dobbiamo stare molto attenti a non ritagliarci sempre il ruolo della vittime, perché rischiamo di costruire un futuro di sofferenza. Quello che io faccio, in terapia, è cercare di sviluppare narrazioni in cui il passato non incombe, il futuro non è scritto da quello che è successo». In fondo a ogni crisi, a saper ben guardare, si nasconde un inizio.