«Va preso atto che non esiste più una maggioranza». Poche, lapidarie parole con le quali il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini ha staccato la spina dopo poco più di 1 anno al governo guidato da Giuseppe Conte. Il presidente del Consiglio, invitato a dimettersi, ha dichiarato in Senato il 20 agosto dopo un duro discorso contro Salvini a cui attribuisce la responsabilità della crisi: «Questo governo si arresta qui”. E anche se la Lega ha revocato la sfiducia al governo, Conte ha rassegnato le dimissioni al presidente Mattarella.
Ora biosgna capire se torneremo alle urne nel giro di pochi mesi o dovremo aspettare il 2020 e ci sarà un nuovo governo dopo le consultazioni del Presidente della Repubblica. I problemi che hanno portato alla rottura fra le 2 anime del governo rstano però sul tavolo e qualunque governo dovrà affrontarli.
Sicurezza, migranti ed Europa
Il malumore in casa M5S ha riguardato anche i 2 Decreti sicurezza voluti dal Carroccio, costati una ventina di parlamentari tra espulsioni e voti contrari. Il secondo, approvato in via definitiva il 6 agosto, ha sollevato anche un’obiezione dal Quirinale, che ha definito «irragionevoli» le sanzioni per chi si spinge nelle acque territoriali di uno Stato per salvare vite umane. Toccherà al prossimo esecutivo correggere il tiro, magari riaprendo il dialogo con la Ue sulla revisione del trattato di Dublino, che regola l’ingresso dei richiedenti asilo.
Il nodo Tav
M5S contrario alla Tav, Lega favorevole: i lavori per completare l’alta velocità ferroviaria tra Lione e Torino, dopo il sì al cantiere, sono diventati il pretesto per la rottura a causa della mozione di contrarietà pentastellata presentata alla Camera. L’impegno con la Francia e la Ue, che partecipa alle spese, però, ormai è preso. E qualunque sia l’orientamento del prossimo esecutivo, verrà mantenuto.
Le incognite economiche
Quota 100 contro reddito di cittadinanza, flat tax contro salario minimo: all’interno della maggioranza non c’era intesa su come spendere le poche risorse in deficit concesse dalla Ue. Né, peraltro, su chi dovesse difendere quelle scelte a Bruxelles, visto che il titolare dell’Economia Giovanni Tria non era più un ministro gradito per i leghisti. Ora, in attesa di un nuovo governo, ogni riforma economica verrebbe rinviata perché scatterebbe l’esercizio provvisorio che impone di non spendere più di quanto si incassa. Ma l’Italia dovrebbe trovare comunque al più presto 13 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva nel 2020. Nessun leader vuole intestarsi una sconfitta del genere, ed è probabilmente anche per questo che il banco è saltato definitivamente.