Quante volte Daniela Lucangeli avrà parlato su un palco? Eppure, appena prende il microfono, le trema la voce: «Ho bisogno di coraggio… Come state? Attiviamo i neurotrasmettitori del buonumore: datevi un abbraccio di 30 secondi che parte l’ossitocina». Il pubblico riconosce lo stile empatico-scientifico e scatta l’applauso. La Prof, come tutti la chiamano, tiene in pugno la platea.
La incontro agli Stati Generali della Scuola Digitale di Bergamo, dove presenta una ricerca su potenzialità e rischi delle nuove tecnologie sull’apprendimento. A seguirla, qui come a convegni, lezioni, corsi di aggiornamento, centinaia di educatori e insegnanti. Sempre sorridente, la cadenza cantilenante tipica di Padova, la sua città, Daniela Lucangeli, 52 anni, un figlio di 18 che «per scelta non ho mai aiutato a fare i compiti», è docente universitaria di Psicologia dello sviluppo, esperta di disturbi dell’apprendimento e star dei social. I video in cui spiega il rapporto tra emozioni e scienze cognitive l’hanno resa un’influencer. «Me lo ha fatto sapere Facebook» dice. «Sono più seguita di Crozza: quanto hanno riso i miei studenti!».
La Prof pubblica video sul suo profilo ogni settimana, anche su YouTube. Illuminanti “I mercoledì della lettura” in cui risponde alle lettere di ragazzini con disturbi dell’apprendimento e disabilità cognitive. Online e dal vivo ha conquistato un pubblico di devoti alla “scienza servizievole”, una divulgazione rigorosa ma accessibile in aiuto dei bambini che a scuola non ce la fanno. Non solo. «Ogni alunno ha diritto di esprimere le sue potenzialità al massimo. La didattica non deve dare a tutti la stessa cosa ma a ciascuno la migliore, in base alle sue possibilità. Un cervello in età evolutiva non può adattarsi a un metodo unico per tutti». Facile essere d’accordo, difficile metterlo in pratica. «Il modello prevalente oggi è ancora: io-insegno-tu-apprendi-io verifico» recita la Prof in una cantilena, refrain quotidiano di tanti studenti. «Il risultato è un apprendimento formale, formalizzato e passivizzante». Lucangeli lo combatte spiegando che non funziona per motivi neurologici, non ideologici: «Le nozioni si fissano nel cervello insieme alle emozioni. Se imparo con curiosità e gioia, la lezione si incide nella memoria con curiosità e gioia. Se imparo con noia, paura, ansia, si attiva l’allerta. La reazione istintiva della mente è: scappa da qui che ti fa male. La scuola ancora crea questo cortocircuito negativo». La Prof parla di una necessità di cambiamento e innovazione sentita da tanti docenti ma che stenta a imporsi. E, nonostante i modi suadenti, con la categoria è spietata.
«Ho incontrato insegnanti immensi, ma la scuola oggi è in una bolla. Non c’è corrispondenza tra ciò che dice e ciò che fa. Chiede l’accomodamento dei bambini a se stessa, ai programmi, alle burocrazie. Invece vorrei che si accomodasse ai bisogni degli alunni. Vorrei che laddove ce n’è uno che fa fatica, ci fosse un insegnante che lo aiuta, non che lo giudica». Insomma, Prof, vuole la rivoluzione? «Letteralmente: voce del verbo rivolgere. Prendi un calzino e giralo dall’altra parte».
Daniela Lucangeli ha sperimento la rivoluzione su di sé. «A 18 anni ho vinto il concorso per insegnare alle elementari. Il primo giorno in cattedra mi sono trovata davanti 4 alunni con handicap mentale, residuo di una scuola speciale. Sono scappata, loro dietro di me e la bidella dietro di noi». Da allora, ha cambiato molti punti di vista per non fuggire di fronte ai bambini in difficoltà. «Mi sono laureata in Filosofia pensando che la logica aiutasse la mente a organizzarsi. Ma non è così. Poi in Psicologia, ma non è bastato. Allora ho preso un dottorato di Neuroscienze dello sviluppo che ha cambiato completamente il mio approccio. Ho capito che il grande decisore non è la ragione ma la parte emotiva. È l’area più antica del cervello che determina l’apertura o la chiusura agli stimoli».
Convinta che non puoi insegnare ciò di cui non fai esperienza, la Prof usa le “carezze educative” per i aiutare i bambini ma anche per formare i grandi. «La stima che ho di me oggi dipende da quanta autenticità riesco a trasmettere. Ho imparato a non controllarmi troppo quando parlo». Sarà per questo che la voce ancora le trema in pubblico. Le chiedo se, in realtà, non sia una persona timida. Risponde per la prima volta senza sorridermi e guardandomi dritto negli occhi: «Io sono quel tipo di persona che se la lasci in biblioteca da sola a studiare è felice». Invece la lascio ai suoi docenti-ammiratori. Vogliono portarsi a casa un selfie con La Prof. E, si spera, una scintilla della sua rivoluzione.