Giorni d’ansia per gli studenti che con le ultime interrogazioni, le ultimissime verifiche (ne vedranno mai la correzione?) e qualche provvidenziale intervento dal banco il giorno prima della fine, agguantano la salvezza. Magari con qualche debito a settembre: la famigerata ‘sospensione del giudizio’. Ansia anche per le loro famiglie: i colloqui sono chiusi da giorni e lo spazio per la negoziazione educativa intelligente che inevitabilmente rischia di diventare mercato del voto è saggiamente ridotto a zero.
È giusto però ridurre il lavoro di nove mesi a qualche quesito finale? È giusto interrogare nei giorni della stanchezza psicofisica di tutti (ragazzi e prof), quando a onor del vero si potrebbe solo andare male? No, non lo è: una valutazione sensata non dovrebbe ridursi alle percentuali (“cinque virgola….. sono su o sono giù?”), alle domandine sull’intero programma dell’ultimo giorno di scuola quando tutti in classe improvvisano festicciole complici il caldo e il calo di adrenalina, o all’esito di qualche compitino scritto ma valido per l’orale (“o dentro o fuori” commenta rassegnato e sarcastico qualche genitore).
E poi, avvengono davvero i miracoli? In molti ci credono e forse fanno bene: qualche giorno fa circolava, virale su Whatsapp, una vignetta in cui il numero 4 in una sequenza di piccole trasformazioni diventa 6. Sottotitolo (ed emoticon indignati o angosciati a seconda di chi lo inviava): ‘mutazione genetica pre-scrutinio”.
Aumentano le promozioni
Ma soprattutto: è giusto promuovere tanto, o almeno più di quanto avveniva una volta, come raccontano i numeri e in particolare i dati ministeriali relativi all’anno scolastico 2017/18? In attesa di sapere come andrà quest’anno, sappiamo che a giugno 2018 il 70% degli studenti delle scuole superiori italiane era stato ammesso alla classe successiva. Del restante 30% il 22,9% aveva avuto uno o più debiti (per essere poi promosso a settembre nella quasi totalità dei casi, con dati che sfiorano il 90%) e il 7,1% era stato respinto. Se confrontati con quelli dell’anno precedente, questi numeri dicono che era aumentato il numero dei ragazzi con giudizio sospeso ed era diminuito il numero dei respinti.
Come sempre erano stati gli alunni del primo biennio a patire la scure della selezione e all’interno della popolazione scolastica le femmine erano state promosse in numero maggiore rispetto ai maschi.
Ancora: i licei si erano confermate le scuole col maggior numero di successi (94,7%), seguiti dagli istituti tecnici (88,4%) e dai professionali (86,1%).
Scorporate poi per area geografica, le percentuali fotografavano un’Italia disomogenea: Umbria, Calabria e Puglia le regioni meno selettive, Sardegna e Lombardia guidavano la classifica di quelle ‘cattive’.
Giusto promuovere di più?
Se si tiene conto delle medie sempre più basse con cui si viene ammessi alla classe successiva (4 studenti su 10, quasi la metà dei promossi, ha la risicatissima media del 6 specialmente in Italiano, Matematica, Inglese: le materie più gettonate anche nell’attribuzione dei debiti), viene spontaneo chiedersi se il trend della promozione quasi di massa sia positivo o no.
Chi ritiene che non lo sia, pensa che uno stop nel percorso scolastico contribuisca alla maturazione globale di un ragazzo. Molti sono convinti poi che spetti alla scuola la responsabilità di arginare la deriva culturale dei nostri tempi. Il fronte dei rigoristi non è composto, al contrario di ciò che si potrebbe credere, soltanto da una fetta importante di docenti, ma anche da diversi genitori e da un numero cospicuo di intellettuali e accademici.
Chi è d’accordo
Ma ampio e variegato è anche il mondo di chi, con argomenti diversissimi, pensa che la bocciatura sia la caratteristica di una scuola d’altri tempi.
Molti sostengono che la bocciatura non abbia una valenza educativa né formativa: si riparte davvero motivati? E in quanto poco tempo si perde il vantaggio iniziale (“so già tutto”) se questo non è sorretto da una motivazione autentica e da una reimpostazione del metodo di studio e lavoro?
Il cambio di classe e di compagni, inevitabilmente più piccoli, non favorisce processi di integrazione proprio dove il gruppo è parte fondamentale dei processi di apprendimento.
E poi, ha senso nel 2020 avere vent’anni e trovarsi ancora alle superiori, quando la società là fuori va veloce e il mondo del lavoro reclama una competitività basata su skills trasversali?
La bocciatura confligge inoltre con un’idea di scuola inclusiva (i dati sui professionali dicono che le bocciature aumentano laddove c’è anche disagio sociale, altro che scuola come ascensore sociale) e non aiuta affatto a combattere la piaga non abbastanza nota dell’abbandono scolastico precoce che in alcune delle nostre regioni tocca un drammatico 20% (dati Istat 2017).
L’alternativa finlandese
Il Gruppo di Firenze, un’organizzazione che da quindici anni si occupa di problemi di didattica lavorando sui concetti di merito e di responsabilità, lo scorso inverno ha sottoposto alle commissioni Cultura della Camera e del Senato una bozza di legge che prevede l’abolizione delle bocciature, a partire da un riordino complessivo della scuola superiore ispirato al modello finlandese. Se l’organizzazione si basasse su corsi disciplinari e non sulle classi tradizionali, lo studente potrebbe avanzare da un anno all’altro ‘ripetendo’ solo la materia nella quale non raggiunge gli obiettivi, evitando così di perdere anni interi e rafforzando le carenze con specifici sistemi di tutoraggio interni alla scuola.
Inutile dire che a oggi la proposta, naufragata in questioni politiche al solito più urgenti e in un prevedibile vespaio di polemiche, è rimasta lettera morta. Ma, c’è da scommetterci, verrà ripresa nei prossimi anni.