Il Decreto sicurezza, voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, ha provocato la protesta di alcuni sindaci, a partire dal palermitano Leoluca Orlando, che minacciano di non seguire le nuove norme. Intanto, le misure in vigore dal 5 ottobre mostrano già i primi effetti. Quali sono le conseguenze pratiche? Sono “danneggiati” solo i migranti o anche gli italiani? Ci sarà davvero più sicurezza? Rispondono gli esperti.
Esiste realmente in Italia un’emergenza migranti? No.
Secondo i dati del Viminale, nel 2018 gli arrivi nei porti italiani sono stati 23.370, a fronte dei 119.369 sbarchi del 2017. E gli ospitati nei centri d’accoglienza sono 173.150 contro 183.562.
È vero che la protezione umanitaria è stata abolita?
No, ma sono stati modificati i criteri per ottenerla, e la concessione è stata limitata a 1 anno. Risultato? «Le prime stime dicono che la quota di migranti che gode di protezione umanitaria è passata dal 25% al 3% del totale» spiega Matteo Villa, senior analyst dell’Ispi, l’Istituto di studi di politica internazionale. «La conseguenza aritmetica è che ci saranno più irregolari in giro». Secondo una simulazione dello stesso Ispi, dai 530.000 del 2018 passeremo a 670.000 nel 2020, considerata sia la protezione non rinnovata sia quella non concessa.
L’Italia ha abusato della protezione umanitaria?
Dipende dal metro di paragone. Su 28 Paesi Ue, 14 non la applicano e negli unici 2 che offrono un completo sistema d’integrazione, cioè Italia e Germania, l’Eurostat dice che nel 2017 le nostre concessioni sono state 20.015 contro le 50.420 dei tedeschi.
I rimpatri degli irregolari aumenteranno?
È l’obiettivo di Salvini. L’unica cosa certa è che il decreto porta il periodo massimo di trattenimento nei Cpr (Centri per i rimpatri) da 90 a 180 giorni. «Negli anni scorsi» continua Villa «ci sono stati tra i 5.000 e i 7.000 rimpatri annui, nel 2018 sono stati 6.820. Secondo le prime proiezioni, anche se si raddoppiassero i numeri, ci vorrebbero circa 90 anni per espellere tutti gli irregolari».
Aumenteranno i disoccupati tra chi lavora nell’accoglienza?
Le associazioni parlano di 2.000 posti in meno. «Ma si potrebbe arrivare fino a 6.000, considerando sia la chiusura dei centri sia la profonda riduzione dei fondi destinati alle politiche di integrazione» spiega Valerio Tiberio dell’Arci.
Quali saranno invece gli effetti del decreto sui migranti che oggi lavorano regolarmente?
«Non c’è un dato analitico, considerando anche che la casistica è molto varia» continua Tiberio. «È possibile però dire che circa 100.000 stranieri che oggi hanno un contratto avranno difficoltà a mantenerlo». Dunque anche gli impatti su occupazione e fisco potrebbero sentirsi già nei prossimi mesi.
E le conseguenze per i minori non accompagnati?
«Forse è l’aspetto più drammatico» sottolinea Rahel Seium, presidente dei Giovani eritrei europei. «Se finché si è minorenni si gode di tutele e servizi, a 18 anni si esce subito dal circuito dell’accoglienza diventando irregolari».
Ci sarà maggiore sicurezza?
«È altamente improbabile» dice Marco Omizzolo, sociologo, fra i maggiori esperti del caporalato in Italia. «La minaccia di espulsione è un incentivo alla criminalità». Secondo Oliviero Forti della Caritas, inoltre, «peggioreranno anche le condizioni dei lavoratori migranti, che in mancanza di permesso di soggiorno saranno più ricattabili da tutti».
Cosa contestano i sindaci?
L’impostazione stessa del decreto, soprattutto nella parte relativa al divieto per i richiedenti asilo di accedere alle liste anagrafiche e, dunque, di avere la residenza. In questo modo non potrebbero accedere al Servizio sanitario, lavorare e mandare i figli a scuola.
È davvero così?
«Formalmente no» spiega Matteo Villa. «La legge comunque permette di avere il domicilio e ciò basta per lavorare o accedere alle cure. Spesso, però, anche a seconda delle varie normative regionali, occorrono certificati specifici che richiedono la residenza e qui si potrebbe creare un cortocircuito burocratico».
Cosa rischiano i sindaci che si rifiuteranno di attuare le norme del Decreto sicurezza?
«Nessuna sanzione giuridica. Potrebbe essere sollevata una questione di legittimità costituzionale, se dovesse sorgere un contenzioso dopo l’intervento di un prefetto per far applicare la legge» osserva il costituzionalista Tommaso Frosini.
C’è la possibilità che il decreto sia incostituzionale?
Secondo un altro esperto di diritto, Massimo Villone, «la legge crea un sistema di pericolosa precarietà per persone che prima erano in un regime stabile». Più cauto Frosini: «La Consulta può tener conto di alcuni vizi, ma anche considerare il momento storico in cui viviamo e le conseguenze di un eventuale buco normativo».