Che lo sport faccia bene alla salute, sia negli adulti che nei bambini, è noto. Ora, però, uno studio ha indagato i benefici dell’attività fisica costante sui più giovani, in particolare sulle adolescenti nella riduzione del Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD). Le conclusioni sono incoraggianti: secondo i ricercatori della School of Psychoeducation dell’Università di Montreal, infatti, le ragazze che hanno praticato sport in modo regolare tra i 6 e i 10 anni hanno scarse probabilità di andare incontro ad ADHD una volta preadolescenti, ossia dai 12 anni.
Più sport, meno iperattività e deficit d’attenzione
Lo studio, condotto su quasi 2.000 giovani (femmine e maschi) e pubblicato sulla rivista Preventive Medicine, mostra come le bambine che abbiano praticato sport in ambito extrascolastico, in modo strutturato e dunque con un allenatore o istruttore, mostrino scarsissimi problemi di disattenzione e iperattività classificabili come sindrome ADHD una volta entrate in pre-adolescenza, dunque intorno ai 12 anni.
«Lo sport porta notevoli benefici soprattutto se praticato fin da piccoli. Questo perché richiede concentrazione e sviluppa competenze che hanno a che fare con i rapporti interpersonali» ha spiegato Linda Pagani, coordinatrice della ricerca. Cose risapute, che però sono emerse con un’evidenza molto chiara, come precisa Stefano Benzoni, docente di neuropsichiatria infantile all’Università Bicocca di Milano e consulente della Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. «I risultati dello studio non sono in sé sorprendenti. Vi sono molte evidenze che lo sport praticato con regolarità nell’infanzia influisca su molti aspetti del comportamento in adolescenza, tra cui la crescita emotiva, uno dei fattori che maggiormente determinano la nostra capacità di modulare i comportamenti in situazioni complesse e temperare aspetti di impulsività o iperattività. In ogni caso è importante ricordare che lo studio presenta dati preliminari e per molti aspetti generici, che dovranno essere approfonditi».
Perché lo sport fa bene?
L’ADHD fa parte dei disturbi del neurosviluppo ed è diagnosticato con una certa frequenza: colpisce il 5% dei bambini e degli adolescenti. È caratterizzato da inattenzione e iperattività e/o impulsività, che si presentano sia in contesto scolastico (incidendo sul rendimento) che in altri ambiti della vita quotidiana. Lo sport, però, può aiutare: «L’attività sportiva regolare influisce su molti aspetti psicologici cruciali: per esempio, accresce le competenze di organizzazione del corpo e delle azioni, aiuta ad allenare l’attenzione e la sua sincronizzazione con il movimento, promuove esperienze sociali e di emancipazione e può aumentare il senso di autoefficacia» spiega il professor Benzoni, autore tra l’altro di Figli fragili (Laterza).
I benefici per le ragazze
Come ha osservato la dottoressa Pagani, «I ragazzi non sembrano trarre alcun beneficio comportamentale dal coinvolgimento prolungato nello sport durante la mezza infanzia». Perché, quindi, aiuta soprattutto le femmine? «Gli stessi autori dello studio hanno ammesso che questo risultato non era atteso e i suoi significati non sono chiari. È possibile che ciò dipenda dal fatto che nelle bambine l’ADHD tenda a manifestarsi prevalentemente con defict di attenzione, mentre nei maschi con iperattività. Questo cambia le scelte cliniche con cui intervenire, la precocità dei trattamenti e il modo in cui gli adulti leggono i segnali di disagio dei figli» spiega Benzoni, che aggiunge: «L’iperattività ha un effetto di maggior “disturbo” rispetto a una minore attenzione, cioè si nota di più, e di solito i maschi sono trattati prima delle femmine perché i loro comportamenti vengono letti come problematici dagli adulti». Proprio perché i segnali sono più riconoscibili nei maschi, questi tendono a ricevere fin dalla prima infanzia «una diagnosi e un trattamento più rapidi», come conferma la curatrice della ricerca. Questo fa sì che l’ADHD venga rilevata e curata in modo più precoce nei bambini rispetto alle bambine. Una volta avviate alla pratica sportiva regolare, dunque, le femmine mostrerebbero i benefici dell’attività in modo molto più chiaro ed evidente.
Si tratta di una spiegazione plausibile a un fenomeno che ha sorpreso anche gli stessi studiosi canadesi. «È possibile che nel campione selezionato per lo studio i maschi fossero già in trattamento oppure che altri interventi in corso “mascherassero” o nascondessero l’effetto positivo dello sport. In ogni caso, per quanto si parli da tempo di ADHD come di una patologia dai contorni molto netti, sullo sfondo mi pare che ci sia anche una considerazione: probabilmente, sotto l’etichetta di ADHD classifichiamo ancora caratteristiche molto diverse tra loro, con cause, decorsi clinici e storie molto differenti» conclude l’esperto neuropsichiatra infantile.
Che tipo di sport
Secondo gli esperti, gli effetti positivi dello sport sono comunque indubbi su bambini e ragazzi con ADHD. Ma quale tipo di attività è preferibile? Il consiglio è quello di preferire esercizi in spazi aperti, alternandoli alla corsa in modo da aiutare a mantenere la concentrazione sull’esecuzione del compito, pur permettendo di scaricare eventuali tensioni. Per iniziare si suggerisce gradualità: in una prima fase sono sufficienti anche attività semplici come un giro in bicicletta, una passeggiata per portare fuori il cane o alcuni esercizi da eseguire su un prato. In un secondo momento, quando si è più “allenati”, è possibile pensare di prolungare la sessione o prevedere anche nuotate in piscina o, in estate, al mare. In ogni caso il consiglio è quello di iniziare da semplici mosse quotidiane, come andare a scuola a piedi invece che con i mezzi pubblici o in bicicletta invece che con lo scooter, laddove possibile per età, spazi, piste ciclabili, ecc.
ADHD, come si interviene
«Le statistiche dicono che in Italia riceve una diagnosi di ADHD una percentuale di bambini e adolescenti tra l’1 e il 3% della popolazione. Sono dati inferiori a quelli statunitensi ed europei, ma il problema sembra in crescita – dice Benzoni – Il trattamento delle forme lievi avviene con supporti psicoeducativi e psicoterapici ai bambini e ai genitori, come ad esempio sessioni di sedute individuali o di gruppo con psicologi o psicoterapeuti, meglio se specializzati nel trattamento di questi problemi».
«Nelle forme più severe si attuano protocolli di parent training, che può prevedere un coinvolgimento dei genitori nell’insegnare strategie per organizzare la vita sociale del bambino, facilitare relazioni meno problematiche e oppositive con coetanei e adulti, rafforzare comportamenti “accettabili” ignorando quelli problematici, o utilizzare in modo efficace le “punizioni”. In una percentuale limitata di casi nei quali i sintomi persistono, si fa ricorso anche a farmaci, secondo programmi clinici nazionali strettamente regolamentati e solo in centri specializzati e monitorati» conclude il neuropsichiatra infantile.