Nelle ultime settimane la lettura superficiale di 2 sentenze riguardanti altrettanti femminicidi ha scatenato un’ondata di indignazione sui social e fra i politici: ma non sempre le cose sono come appaiono. Primo caso: a Bologna la Corte d’appello ha ridotto da 30 a 16 anni di reclusione la pena per Michele Castaldo, reo confesso dello strangolamento della compagna Olga Matei, perché temeva lo tradisse. Uno stralcio della perizia psichiatrica che definisce l’omicida «attraversato da una tempesta emotiva» si trasforma, del tutto decontestualizzato, nella sola ragione dello sconto: gli hanno dimezzato la pena perché era geloso. Quasi un ritorno al delitto d’onore, che fino al 1981 assolveva gli assassini purché cornuti conclamati.
In realtà la detenzione di Castaldo è stata ridotta di un terzo per via del rito abbreviato, e al fattore stress – concesso quasi sempre in Italia a chi non è delinquente abituale né infermo di mente, come raccomandato dalla Cassazione – si sono affiancate altre attenuanti come la volontà risarcitoria e la piena confessione. Stessa dinamica a Genova, dove lo scarto fra 30 anni e 16 non è uno sconto, come molti hanno erroneamente scritto, ma la differenza tra la richiesta dell’accusa e il responso del giudice (donna) nei confronti di Javier Pareja Gamboa, che ha ucciso la moglie Jenny Coello Reyes. Anche in questo caso c’è una frase sull’imputato – «stato d’animo non del tutto incomprensibile verso chi lo ha illuso e disilluso» – che secondo molti impregnerebbe la mite pena di cultura patriarcale. E anche in questo caso a valere sono invece tutte le attenuanti generiche, quella straordinaria della rinuncia all’appello, e la riduzione automatica di un terzo della pena.
Parliamo di 2 delitti atroci, per cui non esistono giustificazioni: lo scrivono entrambi i giudici nei loro dispositivi, applicando il massimo possibile della pena per un omicidio non premeditato con rito abbreviato. 16 anni sono pochi? Probabilmente sì. Ma per la consuetudine giuridica italiana non lo sono: per esempio li hanno ricevuti, senza rito abbreviato, Annamaria Franzoni e Alberto Stasi. I 2 ultras che a Catania uccisero l’ispettore Filippo Raciti sono stati condannati a 9 e 11 anni. I femminicidi sono un nervo scoperto di società e ordinamento giudiziario per il quale servirebbero leggi più severe. Ma finché sono queste vanno rispettate e non contrastate a colpi di fake news.