Può una persona colpevole di un delitto atroce ispirare morbosa curiosità e a tratti persino rassegnata empatia nel pubblico? Sì, se il suo nome è Patrizia Reggiani: anni 72, socialite di successo nella Milano che ancora non si beveva, sposata per quasi 2 decadi con Maurizio Gucci, ultimo rampollo dell’omonimo brand di lusso, infine mandante della sua morte violenta dopo una separazione burrascosa. Espiata la sua pena senza segni palesi di pentimento, è tornata da qualche anno all’opulenza pre-detentiva conquistando nuova fama grazie al documentario Lady Gucci (su Discovery+) e al film House of Gucci, che il regista Ridley Scott sta girando in queste settimane tra Milano, Como e Roma.

Matteo Bazzi / Ansa
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– Adam Driver nei panni di Maurizio sul set del film House of Gucci.
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– Lady Gaga e Adam Driver nei panni di Patrizia e Maurizio sul set del film House of Gucci.
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– Lady Gaga nei panni di Patrizia Reggiani sul set del film House of Gucci.
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– Al Pacino sul set del film House of Gucci.

Nei panni di Patrizia Reggiani c’è un’altra Lady G, Lady Gaga, patinata e divisiva quanto lei, mentre Adam Driver e Al Pacino completano il cast stellare di un giallo che, nonostante gli anni di polvere ormai posata sui faldoni giudiziari, non smette di appassionare.

La storia del delitto Gucci

La storia del delitto Gucci, l’abbiamo detto, parte da lontano. Quando Patrizia e Maurizio divorziano, nel 1991, la dinastia artigiana e imprenditoriale che ha impresso la sua doppia G dorata sui foulard di Grace Kelly, sui mocassini di Audrey Hepburn e sulle borsette di Elisabetta II, è già in affanno finanziario. L’azienda finirà 2 anni più tardi nelle mani degli emiri del Bahrein, che dopo essersi affidati a un giovane e sconosciuto stilista di nome Tom Ford la porteranno in Borsa triplicando il loro investimento.

E la pletora di eredi del fondatore Guccio Gucci, l’uomo che negli anni ‘20 batteva la Toscana in decappottabile in cerca delle migliori pelli, ormai finisce sulle prime pagine solo per le sue beghe da soap opera. Litigano per le spoglie dell’impero, consumano matrimoni rapidi e sfortunati, con corollari di cause miliardarie, ispezioni della Guardia di finanza e nefandezze pubbliche.

Patrizia Reggiani non è estranea al meccanismo: ottiene 1 miliardo annuo di vitalizio, affitta un attico nella centralissima San Babila e non rinuncia alla mondanità, anche se le sono interdetti l’uso dello yacht Creole e della casa di famiglia a Sankt-Moritz. I postumi di una delicata operazione al cervello la rendono ancora più cupa e rancorosa. «Maurizio mi ha rovinato la vita» confida una sera ad alcuni amici. «Se continua così lo ammazzo». Nessuno prende sul serio quella frase. Fino al mattino del 27 marzo 1995.

La cronaca del giorno dell’omicidio

Maurizio Gucci esce di casa verso le 8.30 per raggiungere il suo nuovo ufficio. È una giornata tiepida e l’uomo percorre quelle poche centinaia di metri lungo via Palestro con il trench sottobraccio senza accorgersi della Clio verde ferma davanti al portone con il motore acceso. Ha appena salutato l’usciere quando un uomo incappucciato scende dall’auto seguendolo nell’atrio. Tre proiettili raggiungono lo stilista alla schiena, poi il killer si avvicina e spara il colpo di grazia alla testa prima di fuggire in macchina.

Pare un’esecuzione affidata a un sicario professionista e così, come in ogni giallo che si rispetti, le indagini seguono la pista dell’intreccio fra soldi e malavita, il labirinto infinito di miliardi, ruggini e rivendicazioni che si snoda tra dimore di famiglia, fiduciarie mediorientali, commercialisti svizzeri e caveau. Risultato: zero. Occorrono quasi 2 anni perché la polizia riporti l’omicidio nell’alveo della statistica: in 9 casi su 10, la vittima conosceva il suo assassino. E in 8 su 10, quest’ultimo appartiene alla sua cerchia più ristretta: un collega, un amico intimo, più spesso un familiare.

Patrizia Reggiani 1995 funerali Gucci
Patrizia Reggiani nel 1995 ai funerali dell’ex marito, Maurizio Gucci.

Le indagini

Patrizia Reggiani, in realtà, non è mai uscita del tutto dai radar investigativi a causa del suo comportamento quantomeno bizzarro. Pochi mesi prima dei fatti, aveva chiesto al suo salumiere di fiducia se conoscesse qualcuno disposto a uccidere per soldi. E subito dopo il funerale dell’ex marito si era reimpossessata dell’appartamento dove vivevano, sfrattandone la nuova compagna. Poche lacrime, molti sospetti, nessun indizio. Finché a rimettere a posto i tasselli dell’indagine è un altro grande classico: la soffiata.

Un informatore della polizia riferisce di aver sentito il portiere di un motel a ore, Ivano Salvioni, vantarsi di aver organizzato l’omicidio di Maurizio Gucci. Verità o millanteria? La procura scava un altro po’ e scopre che Salvioni è amico di Pina Auriemma, cartomante e dama di compagnia di Patrizia. Bingo. Intercettati al telefono, i 2 forniscono ogni particolare del piano e fanno i nomi degli esecutori materiali: l’assassino si chiama Benedetto Ceraulo, l’autista della fuga Orazio Cicala. Sono un muratore e un ex chef rovinati dai debiti di gioco, convinti con 610 milioni di lire versati in contanti da Patrizia, che pare abbia tirato parecchio sul prezzo.

L’ex moglie tirchia, la maga, il faccendiere, i balordi con la pistola: il caso è chiuso, mentre il giallo da quartieri alti sfuma nella più pura commedia all’italiana.

Due anni di indaginiPatrizia Reggiani al funerale durante il processo per omicidio del 1997.

Due anni di indagini
Patrizia Reggiani al funerale durante il processo per omicidio del 1997.

L’arresto di Patrizia Reggiani

Quando all’alba del 31 gennaio 1997 gli uomini della Criminalpol entrano in casa sua per arrestarla, Patrizia Reggiani non fa una piega. «Bene, bene», mormora leggendo l’avviso di garanzia. Poi indossa il suo visone, un paio d’orecchini d’oro ed esce scortata dagli agenti. Affronta senza coprirsi il volto le telecamere, appare stranita, quasi assente. Lo sarà per l’intero processo, che per lei si conclude con una condanna a 26 anni di reclusione.

È a questo punto che la storia nera di Lady Gucci, inaspettatamente, torna a virare sul rosa della mondanità. Nel carcere di San Vittore (che lei ribattezza Victor’s Residence, con tanto di carta intestata per firmare la sua corrispondenza) dorme fino a tardi, fa entrare manicure e parrucchiere barattandoli con le visite parentali: del resto Allegra e Alessandra, le figlie nate da quel matrimonio disgraziato, non vogliono saperne più nulla di lei.


Al momento dell’arresto, Patrizia Reggiani mormora: «Bene, bene». Poi indossa il visone e, quasi stranita, affronta i cronisti senza coprirsi il volto.


Nel 2013 rifiuta il rilascio anticipato e la messa in prova («Dovrei lavorare, e non l’ho mai fatto in vita mia»), dal 2017 è in libertà vigilata e dallo scorso anno gode di nuovo di tutti i diritti. Compreso il vitalizio, che le ha consentito di riprendere le vecchie abitudini: cene, feste, un attico di lusso, lunghe sessioni di shopping nel quadrilatero della moda con un pappagallo sulla spalla. L’eccentricità è la stessa di mezzo secolo fa, lo sguardo vivo e la battuta tagliente pure. «Milano è cambiata» ha confidato a un cronista qualche giorno fa «ma ero sicura che non mi avrebbe voltato le spalle».