Proprio mentre sembrava che sul caso di Denise Pipitone fosse stata messa la parola “fine”, ecco il colpo di scena. Ad indagare sulla scomparsa della bambina, di cui si sono perse le tracce a Mazara del Vallo il 1° settembre del 2004 quando aveva quasi quattro anni, sarà una commissione parlamentare d’indagine.
A confermarlo per primo su Twitter è stato Milo Infante, il giornalista Rai che da anni si batte perché il caso non sia dimenticato e si arrivi alla verità. La notizia è stata accolta con soddisfazione anche da Giacomo Frazzitta, legale di Piera Maggio, la madre di Denise Pipitone: «Abbiamo letto la notizia anche noi da Twitter. La commissione parlamentare d’inchiesta si farà. Lo prevede l’articolo 82 della Costituzione. Noi non abbiamo mai cercato un indagato a tutti i costi, come non lo fanno mai le parti civili: vogliamo solo la verità».
Perché il giudice ha archiviato?
Ma allora perché il giudice ha archiviato il fascicolo? La decisione è stata presa dal giudice per le indagini preliminari di Marsala, competente sul caso, dopo che nelle scorse settimane si era riservato la decisione. Alla fine ha deciso di accogliere la richiesta della Procura. La nuova indagine, partita la scorsa primavera a quasi 17 anni dalla scomparsa della bambina, vedeva coinvolte quattro persone. Oltre ad Anna Corona, ex compagna di Piero Pulizzi, padre naturale dei Denise, erano indagati Giuseppe Della Chiave, anche lui accusato del rapimento della piccola, e i due falsi testimoni, Antonella Allegrini e il marito Paolo Erba, a cui era stato contestato il reato di false informazioni al pubblico ministero. La richiesta di archiviazione per loro è arrivata dopo la loro ammissione di aver mentito, fornendo falsi elementi sul coinvolgimento della Corona nel caso. Per gli altri due indagati, invece, secondo la Procura non sarebbero emersi elementi tali da sostenere l’accusa in giudizio.
Il caso non è chiuso
A lasciare aperta la possibilità di nuove indagini, però, è stato lo stesso Gip. Il giudice, nel motivare la richiesta di archiviazione, scrive che si è trattato di «indagini lunghe e incredibilmente vaste da cui non sono emersi elementi sufficienti a sostenere un’accusa in giudizio». In particolare, riguardo Anna Corona, «non appare possibile, allo stato, imputare all’indagata una condotta criminosa, né tanto meno una condotta sufficientemente precisa in ordine al reato e alle modalità di realizzazione della condotta: quale reato potrebbe essere addebitato alla Corona? Ove si optasse per il sequestro di persona quale condotta potrebbe essere contestata? Di mandante del rapimento? Di esecutrice?» chiede il giudice. Insomma, mancherebbero elementi solidi. «Ogni ipotesi accusatoria a carico di Anna Corona – ha concluso il Gip – appare al momento assolutamente insuscettibile di essere vagliata in giudizio e, ancor meno, di condurre a una affermazione di responsabilità».
Il giudice, però, ha lasciato aperta la possibilità di nuove indagini: l’archiviazione «non significa abbandonare ogni speranza o concreta possibilità di far luce sull’andamento dei fatti. Anzi, come sottolineato dal pm, è interesse della Procura, è interesse della magistratura nel suo insieme perseguire la verità e continuare a indagare laddove auspicabilmente emergano ulteriori elementi suscettibili di approfondimento per comprendere cosa sia accaduto a Denise e perseguire penalmente i responsabili del suo sequestro».
Insomma, un’assoluzione certa avrebbe impedito, eventualmente, un nuovo procedimento in base al principio per cui una persona non può essere giudicata due volte per lo stesso reato.
La famiglia non si arrende
Alla richiesta di archiviazione, però, si erano opposti i legali di parte civile. La riapertura delle indagini, infatti, si basava su alcune intercettazioni telefoniche dei carabinieri di Trapani dello scorso 25 maggio, nelle quali Anna Corona, parlando con la figlia, diceva: «Lo vuoi sapere cu fu tanno? Io cu Giuseppe» (Vuoi sapere chi è stato quella volta? Io e Giuseppe). Il “Giuseppe” a cui si faceva riferimento non è ancora stato identificato, ma le parole erano state pronunciate a voce bassa e per le parti civili potevano riferirsi al sequestro della bimba. «Noi abbiamo fatto opposizione all’archiviazione, presentando numerose consulenze. Il Gip scrive che, pur essendo fondate, quelle frasi che sono state oggetto di attenzione mediatica, non sono più di interesse investigativo. Ne prendiamo atto, ricordando però che la decisione non è mai definitiva. Lo stesso giudice scrive che la magistratura potrà continuare a cercare la verità su Denise Pipitone e la famiglia rimane in attesa di questa verità – spiega Frazzitta – Noi non abbiamo mai cercato un indagato a tutti i costi, anche perché a iscrivere una persona nel registro degli indagati è un magistrato, non le parti civili. Se la Procura ritiene che non ci siano elementi per procedere verso gli indagati, come è accaduto, è un dovere istituzionale andare a cercare la verità».
Cosa farà la commissione parlamentare
La proposta di istituire una commissione parlamentare d’indagine era stata avanzata dai deputati del Pd Alessia Morani e Carmelo Miceli, ma è stata sottoscritta trasversalmente da altri 30 colleghi, fin da maggio scorso. Dopo mesi, ecco la svolta nelle scorse ore: «Una norma costituzionale prevede che si possa seguire questo iter e i deputati avranno tutti i poteri dell’autorità giudiziaria. Diciamo che è una forma di “avocazione”, di spostamento, dell’indagine a Roma. Noi confidiamo nella ricerca della verità, anche dopo 17 anni» conclude l’avvocato Frazzitta.