Vogliono farmaci che non intontiscano e medici che li ascoltino. Sono questi i desideri che accomunano chi soffre di depressione, un disturbo che ha ormai raggiunto i vertici nella classifica mondiale delle principali patologie. Oggi ne è affetta una persona su dieci.
«I numeri sono aumentati anche grazie alle maggiori conoscenze che ci permettono diagnosi più accurate» spiega Andrea Fagiolini, direttore del Dipartimento assistenziale integrato salute mentale e organi di senso, Azienda ospedaliero universitaria senese e Università di Siena. «La malattia si può scatenare per una combinazione di più fattori tra cui la predisposizione biologica, soprattutto genetica, unita a stress, a un lutto o a problemi finanziari. Ma le ricerche hanno dimostrato come la depressione possa dare segno di sé anche in persone che non sono predisposte dal punto di vista genetico, senza dimenticare che può colpire chi ha una malattia fisica cronica».
Alla luce dei nuovi lavori scientifici, abbiamo chiesto ad Andrea Fagiolini cosa sta cambiando nella diagnosi e nella terapia.
Un articolo pubblicato in America sostiene che in futuro la diagnosi si potrà fare con l’analisi del sangue: è davvero possibile?
«Gli studi si sono concentrati sui biomarker, una serie di molecole che, quando sono presenti nel sangue in determinate quantità, possono essere di aiuto nella diagnosi e nella terapia. Bisogna però ancora proseguire nella ricerca prima di poterli utilizzare. La difficoltà dipende dal fatto che questa patologia non ha un’unica causa ed è quindi difficile individuare i biomarker. I meccanismi alla base della depressione coinvolgono non solo il cervello, ma anche il sistema endocrino (respon- sabile della produzione degli ormoni), quello immunitario e, probabilmente, anche il microbiota, cioè la “popolazione” di microrganismi presenti nell’organismo».
Come avviene ora la diagnosi?
«Si basa su un lungo colloquio con il paziente e con i familiari, in modo da raccogliere più informazioni possibili sui sintomi. Chi è depresso vive in uno stato di profondo abbattimento psicologico, con incapacità di provare piacere, perdita di motivazione e di concentrazione. In più, sonno e appetito sono alterati e sono costanti i sensi di colpa, la spossatezza fisica, la perdita di energia. In alcune persone è presente poi l’idea di un suicidio passivo (“Vorrei mi venisse un infarto, vorrei morire per un incidente”) e, a volte, anche quella attiva. Per fortuna dalla depressione si può uscire».
Cos’è cambiato nella terapia?
«Oggi abbiamo un ampio ventaglio di farmaci. Ai tradizionali antidepressivi che agiscono su neurotrasmettitori come serotonina, noradrenalina o dopamina, se ne sono aggiunti altri, come la vortioxetina e il trazodone, che hanno un’azione ad ampio raggio. E stanno arrivando in Europa nuovi farmaci come l’esketamina che, grazie a un meccanismo ancora diverso, sembrano molto efficaci e rapidi. Ma per scegliere la terapia migliore è necessario fare una valutazione che tenga conto anche di altri aspetti: la risposta e la tollerabilità a eventuali trattamenti antidepressivi pregressi, la storia familiare, le cure farmacologiche che segue il paziente per altre malattie. Per guidare il medico nella scelta sono in arrivo anche biomarker specifici che, a seconda della concentrazione nel sangue, possono dare delle indicazioni. Si tratta del citocromo P450, un enzima che metabolizza i farmaci e che può rallentarne o velocizzarne l’efficacia, e della proteina C reattiva in grado di indicare la minore o maggiore efficacia dei singoli antidepressivi».
Come mai più della metà dei pazienti smette di curarsi?
«Paradossalmente avviene spesso quando la cura funziona, perché il paziente sta bene e ritiene che non sia più necessario proseguirla. Con il rischio di andare incontro a una nuova crisi depressiva. Altre volte, invece, la colpa è degli effetti collaterali. Purtroppo, non sempre si riesce a ritagliare subito una cura ad hoc, e per questo servono i colloqui col paziente e i suoi familiari. Oggi riusciamo a scegliere il medicinale anche sfruttandone gli effetti collaterali, ma dobbiamo conoscere bene il paziente. Per dare un’idea, l’aumento dell’appetito diventa un beneficio nel caso di inappetenza e non in altri tipi di situazione».
I numeri
3 milioni gli italiani che soffrono di depressione. 1,9% chi ha almeno un disturbo depressivo tra i 15 e i 34 anni. 6,5% i depressi tra i 65e i 74 anni. 19,5% gli over 75 che soffrono di depressione. In 2 casi su 3 si tratta di donne (Fonte Istat-Eurostat).
A chi rivolgersi
Nel nostro Paese stanno aumentando i Servizi territoriali dei Dipartimenti di salute mentale, dotati di un team di specialisti. Non sempre però è facile orientarsi e un valido aiuto lo forniscono le associazioni di pazienti. Consulta i siti progetto itaca.org e aiddep.com.
Il nostro mese della prevenzione
Nel mese di ottobre risponde il team del Dipartimento assistenziale integrato salute mentale e organi di senso, dell’AOU senese diretta da Andrea Fagiolini. Per tutto il mese puoi telefonare il martedì e il giovedì dalle 14 alle 17 allo 0577586391. Oppure inviare una email a [email protected].