«È stato un lento scivolare tra le pieghe dell’anima. Talmente lento che non me ne sono accorto. La luce è scomparsa un fotone per volta: così i miei occhi si sono abituati all’oscurità». Comincia così La faccia nascosta della luce (Mondadori), il libro-confessione in cui Daniele Bossari, 45 anni, conduttore in radio e in tv, racconta «i lunghi anni in cui sono stato vittima della depressione, in cui non avevo certezze, a parte una: che là fuori non fosse rimasto più niente, per me. La depressione aveva cancellato ogni mia aspirazione, ogni slancio vitale».
«Non riuscivo a trattenermi dal medicarmi con un altro bicchiere. Un sorso di whiskey, un sorso di oblio». Nei romanzi e nelle poesie ha nomi evocativi come “il male oscuro” o il “cane nero”. Nella realtà la depressione è una malattia come le altre, forse più terribile di altre, e più assurda: la vita che abbiamo amato a un certo punto diventa ostile. Daniele Bossari la descrive come «un punteruolo che ti trafigge e ti fa a brandelli: io, letteralmente, non vedevo più i colori». Non è consolante che siano in tanti a soffrirne: secondo i dati Istat, in Italia il 9,1% delle donne e il 4,8% degli uomini, anche se questi ultimi sono probabilmente molti di più, ma non lo dichiarano. «L’uomo tende a ritardare la sua richiesta d’aiuto, o a non presentarla affatto, la vive come una colpa, con vergogna» chiarisce Emanuela Cafiso, psichiatra e psicoterapeuta. Rispetto a quella femminile, poi, la depressione maschile ha caratteristiche precise: «Se per le donne i sintomi più frequenti riguardano il campo dell’affettività, negli uomini prevalgono un vissuto di fallimento e di incapacità, anche lavorativa» continua Cafiso. «Spesso, poi, il maschio cerca di trovare risposte concrete al problema e ricorre a una sorta di autoterapia, assumendo alcol o sostanze che lo aiutino a stare meglio». Bossari ci ha provato col whiskey: «Pensavo “domani smetto”. Ma poi non smettevo» è la sua confessione dolorosa. «Mi ripromettevo di farlo solo quando il senso di colpa mi divorava, ma il ribrezzo che provavo per me stesso era tale che non riuscivo a trattenermi dal medicarmi con un altro bicchiere. Un sorso di whiskey, un sorso di oblio».
«Non diventi depresso da un giorno con l’altro, ci finisci dentro lentamente. E quando ti accorgi di essere in trappola sei già sopraffatto». Esistono 2 tipi di depressione: «Quella reattiva, che segue a un trauma o un lutto, è abbastanza fisiologica e frequente» dice Cafiso. «È “normale” sentirsi depressi dopo un evento doloroso, ed è più facile uscirne, con il trascorrere del tempo e un graduale ritorno alla vita di prima». L’altra forma, la più subdola e faticosa da sconfiggere, viene definita “endogena”. All’origine non c’è uno specifico evento scatenante; si tratta di un processo graduale, di cui non è facile individuare l’inizio. «È l’acqua che ti sommerge e il tuo progressivo abbandonarti a essa, per non sentire più nulla» confessa Daniele Bossari. «Nel mio caso, dopo una vita sotto i riflettori, tra tanti momenti di esaltazione e qualche sporadica sconfitta, un giorno un critico importante ha scritto un articolo negativo su di me. Ho cominciato così a scivolare verso il baratro. A posteriori penso che se quell’episodio non fosse accaduto, ce ne sarebbe stato un altro: forse esistono individui più vulnerabili, più esposti di altri, e io sono tra questi. Il fatto è che non diventi depresso da un giorno con l’altro, ci finisci dentro lentamente. E quando ti accorgi di essere in trappola sei già sopraffatto».
Spiega Alberto Simone, psicologo e psicoterapeuta, autore di Ogni giorno un miracolo – Imparare l’arte di amare la vita (Tea): «La depressione discende da un mix di cause genetiche, biologiche, psicologiche e sociali: difficile, insomma, definirle con esattezza. Invece, il fatto che gli uomini siano meno inclini a chiedere aiuto ha una ragione antropologica: per il genere maschile esporsi a nemici o potenziali rivali mostrandosi deboli significava rischiare la vita. Ancora oggi, gli uomini faticano a entrare in contatto con i propri problemi emozionali, a riconoscerli e condividerli. Per molti il confronto con l’altro, specie se maschio, su un tema “sensibile” non è previsto». Infatti, dice Bossari: «Per un periodo ho frequentato solo gli amici più stretti, poi ho smesso. Il telefono squillava ma non rispondevo: all’idea di sentire una voce che non fosse quella di mia moglie Filippa o mia figlia Stella provavo ansia».
«Una notte mi sono trovato in bilico su una trave, a una decina di metri d’altezza, il vuoto sotto, con un litro di whiskey in corpo». Il cosiddetto “ritiro sociale”, assieme al chiudersi in se stessi e al cercare il buio è uno dei sintomi della depressione (vedi box in basso). «Per me è stato come camminare nel bosco, da solo, un passo dopo l’altro, finché il buio non è calato. E solo allora ho capito di essermi perso» dice Bossari. Ogni attività, anche incontrare un amico, del resto «richiede un investimento energetico: il depresso sente di non potercela fare» spiega Alberto Simone. La depressione è una condizione che può diventare molto grave ma si può uscirne: «Per cominciare, un consiglio è entrare in contatto col corpo e tornare a muoverlo» continua l’esperto. «È un primo passo per rientrare in relazione con ciò che ci circonda anche dal punto di vista sensoriale. Il depresso ha una carica energetica bassissima. E le difese immunitarie deboli. L’attività fisica è l’equivalente del “ricaricarsi” alla presa di corrente».
Una volta riconosciuta la propria condizione, l’ideale sarebbe affiancarla a una psicoterapia: «I farmaci antidepressivi da soli non aiutano a raggiungere indipendenza e autonomia» ricorda Simone. «L’invito per chi soffre è quello di riconoscersi come prima cosa il diritto a provare emozioni negative. Gli uomini tendono a reagire a questo tipo di problemi ignorandoli, negandoli. Ma la depressione non è una colpa, non è una difettosità. Chiamarla col suo nome e chiedere aiuto significa aver già fatto un pezzo di strada».
Anche un libro che racconti una storia onesta e positiva può servire. Quella di Bossari è entrambe le cose: «Una notte mi sono trovato in bilico su una trave, a una decina di metri d’altezza, il vuoto sotto, con un litro di whiskey in corpo e la tentazione di farla finita. Mi piacerebbe dire che non l’ho fatto perché ho pensato a mia moglie e mia figlia, ma non è così. Non sono morto perché ho avuto paura, e come ero salito sono sceso. La paura quel giorno mi ha salvato. La paura: in fondo a un pozzo in cui non vedevo niente, non sentivo niente, non percepivo niente, finalmente un’emozione».
IN LIBRERIA
S’intitola La faccia nascosta della luce (Mondadori) il libro-verità in cui Daniele Bossari, 45 anni, volto noto della tv negli anni ’90, racconta come ha affrontato la lunga depressione. Un racconto lucido e onesto della sua discesa “all’inferno” verso il buio, gli attacchi di panico, l’alcolismo. «Ero in fondo a un pozzo in cui non vedevo niente» confessa. «Oggi mi sento un miracolato».
Così riconosci i sintomi della depressione
In Italia colpisce il 4,8% degli uomini e il 9,1% delle donne ma le statistiche maschili sono sottostimate: i depressi faticano a rivolgersi al medico e mascherano la loro malattia con altri problemi fisici (mal di testa, stanchezza, disturbi del sonno, difficoltà a digerire).
La malattia deteriora la qualità di vita e nella sua forma più grave può portare al suicidio (secondo l’Oms, nel mondo è causa di 850.000 morti l’anno): ecco perché è importante che chi vive accanto a un depresso – marito, fratello, padre – impari a riconoscerne i sintomi.
Tra i comportamenti tipici degli uomini depressi, che devono protrarsi per almeno 2 settimane: assumere più alcol del normale o sostanze illecite; lavorare moltissimo, in modo ossessivo e senza pause; evitare le situazioni familiari e sociali; diventare aggressivi e maltrattanti; mettere in atto comportamenti a rischio come il gioco d’azzardo o il sesso non protetto.